sabato 5 luglio 2014

Storie della storia del calcio.

Il calcio non è solo uno sport. Certo, i detrattori dipingono ormai questa bicentenaria attività ludica come un caravanserraglio di immoralità, una terra di nessuno abitata soltanto da esseri sopraffatti da superficialità e materialismo.
Purtroppo ho il dovere di annunciare che l'occhio coglie solo ciò che alberga nell'animo. Se ci si sofferma soltanto sugli aspetti economici, gli stipendi folli, il gossip che annichilisce, bé, forse è perché si ha la capacità, o la voglia, di cogliere solo questi tristi aspetti.

Il calcio è anche altro: è  romanzo e poesia, dramma e liturgia.
Lo abbiamo notato anche durante questi Mondiali che pure, non va dimenticato, sugli aspetti "amministrativi" ed etici di pecche se ne portano dietro in quantità industriale.

Il calcio è il palo di Dzemaili al 121° minuto di battaglia tra David Svizzera e Golia Argentina, quando tra gli elvetici s'insinua il dubbio che iddio sia passato dalla parte dei più forti.
Il calcio è la traversa di Pinilla, e il suo tatuaggio che immortala la disperazione di un uomo e della sua nazione.
Il calcio è la squadra dell'Iran che si tiene in equilibrio tra la voglia di dare gioia ai propri sostenitori e il low profile imposto dalla spending review più talebana della storia: una sola maglia per tutta la durata del torneo. E guai a chi esulta, in patria.
Il calcio è David Luiz che a fine partita invita lo stadio in festa a tributare un applauso universale a James Rodriguez, la vera grande stella sbocciata nella competizione. L'onore delle armi.
Il calcio è Tim Howard, portierone americano con la sindrome di Tourette, che ha battuto il record di parate fatte in una singola partita dei Mondiali, e rimarrà quindi nella storia non solo per il suo coraggio, ma anche per la sua bravura.
Altra storia altro portiere: Tim Krul, portiere di riserva dell'Olanda, è il coniglio magico estratto dal cilindro del prestigiatore Van Gaal: entra per pochi secondi e poi va a compiere l'impresa, parando due rigori ai costaricani e mandando in paradiso il suo popolo arancione.

Il calcio è, infine, Neymar, il piccolo imperatore un po' fighetto del Brasile, che ad un passo dalla Gloria Eterna è costretto ad abbandonare il suo popolo: e tutti adesso, dal bambino delle favelas al ricco commercialista, si sentono un po' orfani del loro grande sogno, quello di "O'Ney" che alza per la sesta volta la "Copa", e lo fa al Maracanà!

Il calcio è dunque un linguaggio, come dice Pasolini, e come tutti i linguaggi è fatto di livelli di difficoltà diversi da comprendere. Vi si può trovare cinismo, declino, pochezza. Oppure, se lo si ha in animo, ci si può scorgere la più estatica e sinfonica metafora della vita.