Radu Mihăileanu è un regista che concede ben poco all'industria cinematografica: segue la propria ferrea, rigida volontà didascalica e non l'abbandona finché il lieto fine delle sue opere non è raggiunto.
Ogni suo film è una Babilonia d'emozioni: si susseguono introspezione, dramma, comunione, amore, peccato, perdono, salvezza.
La cifra stilistica di Mihaileanu è una capacità rara, finissima, d'insinuare l'ironia nella disperazione, di diluire candida speranza su orrori tentacolari. "Vai e Vivrai", il film di cui voglio parlare, è però qualcosa di più; è un'epopea, è una docu-fiction sull'identità umana, è un romanzo storico che racconta (anche) quanto di più anti-storico esista: l'appartenenze religiosa.
Come accaduto in altri famosi e benemeriti casi (Emil Cioran, Eugene Ionesco), anche per Mihaileanu l'incrociarsi di destini tra metafisici migranti Romeni e la libertaria Francia ha generato grandezze inaudite per la storia dell'arte. C'è poi l'educazione ebraica a fare da sfondo ingombrante a questa ennesima storia di liberazione, in cui la terra promessa coincide con la terra natìa. Il protagonista del film, Shlomo, percorre infatti tutto il circolare sentiero della vita, finendo per tornare all'origine della sua inquietudine: l'Etiopia, la madre, il distacco forzato dalla sua identità (Cristiana).
"Vai e Vivrai" è un film toccante che obbliga lo spettatore ad una quantità di riflessioni sbalorditiva: il tema dell'adozione, dell'integrazione razziale, delle nefandezze dell'ortodossia religiosa. Un viaggio lungo e tortuoso che apre spazi di meditazione infiniti, tante sono le sfaccettature dell'avventura che il regista ci sottopone.
Consigliato anche e soprattutto a chi intenda intraprendere percorsi di accoglienza sui quali è bene prepararsi ponderando ogni aspetto.
Consigliato anche e soprattutto a chi intenda intraprendere percorsi di accoglienza sui quali è bene prepararsi ponderando ogni aspetto.