domenica 23 ottobre 2016

Soliloquio referendario

Ho un passato di breve militanza nei Radicali, dunque nel rispetto della tradizione referendaria nemmeno questa volta mi sottrarrò al diritto/dovere del voto, seppure questa sia stata (e continua ad essere) una campagna impareggiabilmente insopportabile.
La mia riflessione sulla riforma è stata quanto mai sofferta, e come ogni riflessione sofferta è anche molto articolata.
Non ho ancora deciso cosa voterò: i temi su cui mi sono soffermato in questo lungo cammino di informazione e di meditazione sono variegati, tanto da lasciarmi in bilico fino all'ultimo giorno.
  1. Ho paura dei populismi.
    La Riforma Renzi/Boschi mira ad agevolare l'iter decisionale, a renderlo più efficiente e meno schiavo dei ricatti degli egoismi parlamentari. Condivido appieno questa impostazione. Il potere esecutivo negli anni è divenuto l'unico vero attore legiferante nel nostro paese (circa l'80% delle leggi approvate), dunque occorre metterlo in condizione di poter agire velocemente ed efficacemente, allontanandolo da quel territorio insidioso del continui compromessi al ribasso con piccole forze personalistiche, territoriali, estemporanee che finiscono sempre per trasformare buone idee in leggi mediocri.
    Il grande problema italiano è l'eccessiva frammentazione del panorama politico/partitico, frutto spesso di interessi più particolari che complessivi.
    A fare da contraltare a questa sacrosanta esigenza c'è però il rischio di dare troppo potere a movimenti tanto immaturi quanto pericolosi. Viviamo un'epoca di terribili populismi, una recrudescenza di pulsioni xenofobe, nazionalistiche, che già hanno dimostrato la loro pericolosità più e più volte nella storia. Ovunque, dalle piazze alla rete, si registra un cinismo, una rabbia e una disumanità troppo troppo funeste: per questo temo che in questo momento storico concedere troppi poteri ad un singolo partito/movimento possa essere controproducente.
  2. Qui ci colleghiamo al problema della legge elettorale: come da più parti segnalato, la riforma non è costituzionalmente legata alla legge elettorale, ma lo è nei risultati che andrà a produrre: per questo, in virtù di quanto segnalato al punto 1, riterrei essenziale chiarire in quale direzione si va da parte del partito di maggioranza relativa. Il tema delle preferenze è un aspetto secondario, lo è stato fino ad oggi, ma se la volontà è quella di migliorare il rapporto tra cittadini e istituzioni, occorrerebbe almeno mettere mano a quella parte dell'Italicum.
  3. Questa atavica instabilità e precarietà delle maggioranze parlamentari porta, inesorabilmente, i governi (ad eccezione di quelli tecnici, per ovvi motivi) ad aumentare la spesa pubblica nel tentativo di allargare o cementare il proprio consenso popolare. L'Italia è un paese in campagna elettorale perenne.
    Il tentativo di dare maggiore forza e continuità ai governi si tradurrebbe, molto probabilmente, in qualche anno di maggiore sobrietà nelle politiche economiche, e dunque in probabili, sospirate riduzioni del debito pubblico. Non è un'equazione automatica, ma è altamente probabile che questo possa avvenire, almeno nei primi anni di attività dei governi in carica.
  4. I risparmi che la Riforma produrrebbe sono discreti e condivisibili: 500 milioni (nelle previsioni più ottimistiche) su un bilancio statale di 800 miliardi non sono tali però da giustificare una riforma costituzionale. Lo è la necessità, impellente, di ammodernare non solo i processi decisionali e l'organizzazione dello stato, ma anche i principi stessi della costituzione. Una costituzione bella sì, ma nata dopo una guerra, scritta da rappresentati di ideologie oggi scomparse e confitte dalla storia, e legata ad un mondo lontano da quello contemporaneo, se non altro per l'evoluzione tecnologica che nel frattempo abbiamo visto esplodere, tanto da cambiare le abitudini quotidiane di ognuno di noi.
  5. Gli Zagrebelsky & C. sono del tutto privi degli strumenti culturali che permettano un'ermenutica penetrante di questo tempo digitale. Esatto, proprio così: difendere una carta scritta in un'epoca in cui si scriveva a macchina e si viaggiava su treni a vapore non rende possessori di verità universali, anzi, probabilmente è una zavorra. L'arroganza di un sapere fine a se stesso è oggi un ostacolo al fine massimo cui dovrebbe essere volto ogni sistema di principi organizzato in leggi (quale la costituzione è): la massima diffusione di felicità e benessere dei cittadini. Chi difende la costituzione (conoscendola a menadito) lo fa in una logica conservativa, ed è evidente come la volontà di trovare soluzioni ai tanti problemi della contemporaneità non è per loro una priorità. Diceva Nietzsche: "la saggezza pone dei limiti alla conoscenza". Talvolta è vero, e questo è uno di quei casi: c'è un eccesso di affezione da parte di una certa classe intellettuale italiana verso "la più bella del mondo" che ne riduce la lucidità e la capacità di intervento, la possibilità di produrre idee di modifica, di offrire spunti di upgrade.
  6. Modernizzare, aggiornare la Costituzione attraverso un continuo ricorso al compromesso al ribasso come è stato fatto durante il percorso di scrittura della riforma non è ciò che serve però. La riforma è insufficiente principalmente per il pessimo lavoro fatto dal parlamento, e da alcuni di quegli stessi detrattori che adesso si schierano per il no (minoranza PD in primis e Forza Italia.).
  7. La riforma del titolo 5° è inevitabile, ineludibile: la precedente riforma (a firma centro-sinistra) non funziona, come dimostrano gli infiniti ricorsi alla corte costituzionale. Ridefinire le competenze è giusto, e farlo nella maniera più precisa possibile è doveroso.
    Non convince appieno invece l'elaborazione uscita dal parlamento riguardante le competenze del nuovo senato. Il governo locale è pur sempre emanazione dei partiti, dunque il rischio di una subordinazione alla maggioranza esiste. Ritorna dunque quella paura di accesso ad un potere difficilmente contrastabile di movimenti pericolosi segnalata al punto 1. Avrei personalmente preferito una seconda camera di "notabili", di intellettuali, di eccellenze che avesse un mero scopo di consiglio, e di "freno", verso il potere esecutivo in casi di particolare delicatezza. Trovo la conoscenza, in questo caso e in ultima analisi, più importante della rappresentanza.
  8. Altri aspetti della Riforma, quali la riduzione del numero dei parlamentari o l'abolizione del CNEL, sono del tutto condivisibili. Non ritengo però siano decisivi per prendere una decisione sul voto, perché toccano aspetti non caratterizzanti riguardo l'effettivo funzionamento dei vari meccanismi decisionali introdotti dalla riforma stessa.
  9. Concludo con l'altro motivo forte (insieme al punto 1) che mi spingerebbe a votare NO: una riforma costituzionale va condivisa, necessita di un minimo di convergenza sui principi cardine che si vanno a mettere in gioco. L'estrema frammentazione, la faziosità atavica di questo paese potrebbe non produrre mai più una situazione favorevole ad una riforma costituzionale, e questo è certamente un rischio da tenere bene impresso, però assistere ad una divisione così netta, così drastica come quella che stiamo vivendo non mi sembra sia lo stato d'animo giusto per riscrivere le regole del vivere comune.

P.S. : Il fastidioso pressappochismo di chi denuncia pressappochismo nella posizione opposta alla propria è insopportabile.
Al momento disponiamo, al di là di infinite e tutte rispettabili opinioni personali, di una sola verità: ovvero che NON lo sappiamo se la riforma può funzionare. NON lo sappiamo con certezza, con buona pace degli ultrà di entrambe le tifoserie.

Quindi tutti Voi milioni di wikisaputelli, leoni da tastiera, Napalm51 e laureati in condivisionismo, abbassate i toni e provate a porvi un po' più di dubbi, provate ogni tanto a capovolgere il vostro punto di vista. Se l'obiettivo è costruire un mondo migliore, sarà più utile il vostro libero arbitrio che non la vostra feroce fedeltà all'impero dell'ovvio.