La formalità degli auguri non mi appartiene particolarmente. Non sono un ottimista fiducioso che rassicuri vacuamente il prossimo con un "andrà tutto bene". Non riesco neppure ad avere speranze fini a se stesse, se non rigidamente supportate da dati convincenti.
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portante dell'esistenza. Ci siamo d'improvviso resi conto di quanto il vortice di appuntamenti, impegni, affari, situazioni dettate dalla dominazione dispotica del lavoro sulle nostre vite fosse precario. Torneremo a essere distratti, costretti e distrutti dagli impegni, ma forse rimarrà in noi per qualche tempo un sentimento di pienezza e di appartenenza che ci sosterrà nei duri tempi che si prospettano.
Vedremo tutto ciò che è digitale come un po' meno freddo e ricorderemo che questi servizi troppo moderni e lontani ci hanno invece tenuti uniti e vicini, e anche un piccolo piacere consegnato a domicilio è un grande sollievo non scontato.
Ritorneremo forse a restituire dignità e onore a tutte le attività di sostegno al prossimo, smetteremo di insudiciare la bontà chiamandola stupidamente buonismo, e forse ci convinceremo finalmente che investire nella ricerca e nella conoscenza alla lunga è non solo più utile ed etico, ma anche finanziariamente più proficuo che tagliare i servizi.
In politica, avremo forse qualche prova in più del fatto che gli "uomini forti" che basano la loro forza sulla demagogia e il populismo, nel momento in cui si devono prendere decisioni impopolari non sono così forti: sono invece di una debolezza assoluta (vedasi i disastri di Trump e Johnson).
Ci convinceremo finalmente che per decidere servono informazioni e conoscenze e competenze che non possono essere tutte immediatamente chiare alle vaste platee. Competenze che i politici non possono avere: devono andare a prenderle in prestito dove quelle conoscenze ci sono, umilmente. Saper chiedere, ascoltare e tradurre in pratica dovrà diventare un nuovo e fondamentale criterio di selezione della classe dirigente del paese.
Ci convinceremo finalmente che per decidere servono informazioni e conoscenze e competenze che non possono essere tutte immediatamente chiare alle vaste platee. Competenze che i politici non possono avere: devono andare a prenderle in prestito dove quelle conoscenze ci sono, umilmente. Saper chiedere, ascoltare e tradurre in pratica dovrà diventare un nuovo e fondamentale criterio di selezione della classe dirigente del paese.
Ci dovremo fidare di più e non discutere sempre tutto e tutti senza averne le skills e le informazioni.
Saremo costretti, a fidarci di più. Del vicino di cassa al supermarket, del dirimpettaio di scrivania, del corriere che porta le scatole e del runner che porta la pizza. Saremo costretti a fidarci per tornare a vivere in comunità, sapendo che dentro ognuno di noi può nascondersi un untore involontario. Dovremo tornare a praticare umanità e perdono in dosi massicce: perché siamo stati divisi abbastanza, e c'è bisogno adesso di abbracciarci di nuovo, uniti in una speranza di ripresa che non è né individuale né locale, né nazionale né continentale. È solo umana.