venerdì 5 luglio 2024

Argilla

Una vera e propria diaspora. Sulla strada che porta verso la stazione stormi di mamme con bimbi in braccio, uomini feriti bendati zoppicanti, anziani troppo anziani per camminare e giovani troppo giovani per stare soli.

Lunghe file di disperazione, di pianti, scie d'infelicità lasciate sui terreni ciottolosi.
Dopo l'ultimo attacco con i droni tetti rotti e muri forati facevano da sfondo ovunque, ogni foto era inesorabilmente una cartolina drammatica per amici e quasi amici.
In una cucina spoglia con vista sull'inferno lavoravo l'argilla polimerica fischiettando "back in black", una bella giraffa dal collo lungo lungo e dalle macchie larghe. Dopo l'attacco c'era più corrente alternata che corrente diretta però.
Per completare il lavoro devo cuocere la giraffa in forno convenzionale, ma non si accende.
Provo con una torcia a scendere nel locale seminterrato dove si trova il generatore. C'è polvere ovunque.
Risalgo faticosamente, il forno non funziona, non c'è corrente di nuovo.
Fuori si sente un ronzio, sempre più forte, sempre più minaccioso. Dalla finestra vedo bagliori sempre meno lontani.
Sposto la giraffa dal collo lungo lungo dentro una vetrina con serratura in camera; è rugginosa, fatico a girare la chiave e fatico ancora di più a estrarla. Me la nascondo in tasca, non prima di averla ripulita dalla ruggine, con accuratezza maniacale.
Il mobile ha uno specchio grande e un po' ossidato dal tempo, gli angoli scheggiati, alzo lo sguardo - un boato - mi osservo svanire.

Non faceva freddo

In fondo non faceva freddo.
Pioveva sì, e molto, ma non faceva freddo.
La pensilina di policarbonato era spaccata in più punti, e lasciava filtrare schizzi in maniera continua, fastidiosa. Una piccola tortura, ma tutto sommato non faceva freddo.
Il ritardo si accumulava, cresceva, l'autobus doveva passare alle 17:15, adesso l'orologio segnava le 17:36 e del mio ultimo spiraglio di speranza di arrivare in orario all'appuntamento non rimaneva traccia.
Pioveva, la pensilina era semidistrutta, l'autobus era in ritardo e quei due balordi che sedevano, uno sulla panchina l'altro a terra, alla mia sinistra, iniziavano a lanciare occhiate oblique verso di me.
Il tipo magro seduto a terra aveva dei jeans con una quantità enorme di strappi, mi chiedevo che senso avesse pagare un indumento per intero se poi mancava così tanto tessuto. Pensieri sconnessi fatti per ingannare la paura.
Il tipo seduto sulla panca indossava cuffiette e canticchiava in un inglese zoppicante, azzeccava qualche verso ma credo non avesse mai avuto la voglia di andare a leggersi il testo di quella canzone per intero, accuratamente. Era sicuramente un tipo pigro, uno di quelli che si siedono ovunque e che non hanno voglia di leggersi il testo di una canzone per provare a capirla. Secondo me non aveva neppure tutta questa voglia di guadagnarsi da vivere, uno così non spiegherebbe mai alla signora anziana i vantaggi di uno smartphone con una memoria da 256 gb rispetto a uno da 128 gb, non preparerebbe mai un Camogli in autostrada o non stirerebbe mai dei vestiti con 30° a Luglio.
Lui e il suo amico forse preferiscono seguire il primo uomo di mezza età con la sua giacca grigia a quadri e il suo notebook ben riposto nella borsetta elegante a tracolla fino alla fermata dell'autobus, in un giorno di pioggia, e appena rimangono soli...
Altri pensieri sconnessi.
Il tipo alto mi si avvicinò improvvisamente, io sentii un calore improvviso divamparmi dentro.
- Hai da accendere?
- No, non fumo, mi spiace.
- Uhm...
I due tizi poco socievoli mi scrutavano, pioveva sempre più forte, la pensilina lasciava filtrare sempre più schizzi sulla mia giacca acquistata a caro prezzo nel negozio del centro dieci giorni prima, l'autobus non accennava ad arrivare e l'appuntamento con il responsabile acquisti della lavanderia industriale con cui dovevo firmare un contratto se ne andava a farsi benedire.
Però non faceva freddo. E non tutto era perduto. Non ancora.
Da tutta la vita mi allenavo a mantenermi saldo e lucido, a non cedere alla disperazione di fronte ad ogni timore.
Mi allenavo cercando di individuare sempre un elemento positivo in ogni situazione, mi aggrappavo a quel dettaglio per non lasciarmi sommergere dall'angoscia.
Le piccole paure personali sono immorali, questo pensavo, davvero.
Ci sono tante e tali violenze, crudeltà, sofferenze nel mondo. Sempre, ovunque. Non abbiamo diritto di avere così tanta paura nelle piccole situazioni quotidiane.
È vero pioveva a dirotto, la pensilina era rotta, anche la borsa del notebook iniziava a bagnarsi, erano le 17:44 e l'autobus non arrivava, gli impiegati della lavanderia alle 18:00 se ne andavano, i due balordi iniziavano ad agitarsi, ma non faceva freddo, tutto sommato.

17:48.
Un leggero cigolio, ammortizzatori da pensionare già da un po', schizzi dalle pozze formatesi sui lati della strada mi bagnano le scarpe dal tessuto sintetico tutt'altro che impermeabile.
Salgo, timbro, siedo accanto al signore anziano più rassicurante che abbia mai visto su un autobus di periferia.
Sospiro profondamente, sono vivo.