Una vera e propria diaspora. Sulla strada che porta verso la stazione stormi di mamme con bimbi in braccio, uomini feriti bendati zoppicanti, anziani troppo anziani per camminare e giovani troppo giovani per stare soli.
Lunghe file di disperazione, di pianti, scie d'infelicità lasciate sui terreni ciottolosi.
Dopo l'ultimo attacco con i droni tetti rotti e muri forati facevano da sfondo ovunque, ogni foto era inesorabilmente una cartolina drammatica per amici e quasi amici.
In una cucina spoglia con vista sull'inferno lavoravo l'argilla polimerica fischiettando "back in black", una bella giraffa dal collo lungo lungo e dalle macchie larghe. Dopo l'attacco c'era più corrente alternata che corrente diretta però.
Per completare il lavoro devo cuocere la giraffa in forno convenzionale, ma non si accende.
Provo con una torcia a scendere nel locale seminterrato dove si trova il generatore. C'è polvere ovunque.
Risalgo faticosamente, il forno non funziona, non c'è corrente di nuovo.
Fuori si sente un ronzio, sempre più forte, sempre più minaccioso. Dalla finestra vedo bagliori sempre meno lontani.
Sposto la giraffa dal collo lungo lungo dentro una vetrina con serratura in camera; è rugginosa, fatico a girare la chiave e fatico ancora di più a estrarla. Me la nascondo in tasca, non prima di averla ripulita dalla ruggine, con accuratezza maniacale.
Il mobile ha uno specchio grande e un po' ossidato dal tempo, gli angoli scheggiati, alzo lo sguardo - un boato - mi osservo svanire.
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