martedì 4 giugno 2013

Quando poi l'apocalisse arriverà

"Il finale" è una delle 19 tracce che compongono "Fantasma", l'ultimo album dei toscani Baustelle, pubblicato il 29 Gennaio 2013.
Perfettamente inserita in quel mood retrò (qualcuno ha coniato l'efficace neologismo "Tetrò" per definirlo) che permea la vena creativa dell'autore, è canzone (se così può definirsi) che abita le mie giornate ininterrottamente da ormai quattro mesi senza che riesca a sfrattarla, pur avendone diritto. Sì, perché gli ascolti seriali nuocciono gravemente alla serenità di giudizio, e un buon appassionato di musica dovrebbe saper dosare i suoi ascolti, saperli programmare, trangugiarli senza ubriacarsene.
Invece no. Ne ho fatto una malattia.
Questo brano ha una tale profondità narrativa, una tale visionaria capacità di trasportare altrove (uno spazio-tempo drammatico, ma nobile) che ne faccio abuso ogniqualvolta necessiti di staccare dalla pochezza del reale.

La vicenda narra di Olivier Messiaen, compositore tra i più influenti del secolo scorso, e della sua più toccante opera: Quatuor pour la fin du Temps. Scritta nel campo di sterminio di Görlitz, in Slesia, fu eseguita davanti a prigionieri e aguzzini il 25 Gennaio 1941, nel gelo dell'inverno mitteleuropeo, utilizzando strumenti rimessi in sesto alla meno peggio.

Ciò che mi stupisce, che mi intriga, e mi conferisce un profondo senso di riconoscenza verso Bianconi è questa capacità di raccontare storie di questo tipo in un contesto come quello dell'industria musicale italiana contemporanea dove il diktat vigente è quello dello svuotamento di ogni contenuto, dell'inseguimento ad ogni costo del gusto superficiale, non formato.

"Il finale" è invece simbolo di un'arte, la musica, che si eleva ad altro, che si fonde con la letteratura, con la storia, con i testi sacri a cui il "Quatuor" si ispira (l'Apocalisse di San Giovanni), traghettando l'ascoltatore di livello in livello, di dimensione in dimensione.

La vicenda, devastante per l'umanità tutta, dei campi di concentramento è reinterpretata da Messiaen in chiave ottimistica, nonostante tutto: la "fine dei tempi" è la fine dei tempi bui, delle divisioni, delle guerre, dell'odio tra i popoli. Questo messaggio traspare anche da tutta la poetica baustelliana, ovvero la ricerca, la narrazione, la sublimazione di un pessimismo profondo (apocalittico) che, una volta raggiunto (e ci siamo ormai molto vicini) non potrà che aprire ad un futuro migliore.

Al contempo, la forma adottata (il racconto della vicenda dell'autore ad un amore lontano) reimposta l'opera come canzone dai connotati anche tradizionali (cfr. la melodia ariosa del "ritornello" centrale), riuscendo in questo in un capolavoro autorale assoluto.

Quel rock lo-fi di fine anni'90 evoluto oggi in composizione quasi-sinfonica rappresenta uno dei migliori esempi di crescita stilistico-artistica a cui abbia potuto assistere in questi anni di decadenza musicale, e questa canzone ne è una consacrazione definitiva.
In fin dei conti, adesso lo comprendo lucidamente, la morbosa attrazione per questo pezzo è dovuta al suo essere simbolo perfetto di evocazione, la caratteristica di un qualcosa che rimanda ad altro, altro ed altro ancora. L'essere interruttore di marcia di un meccanismo inarrestabile che costringe alla ricerca pressoché infinita di informazioni, di approfondimenti.
Un meccanismo che è per me espressione di un sentimento, di un desiderio di trascendenza che solo certi brani, certi testi, certi autori possono soddisfare.

Buon ascolto.




Nessun commento:

Posta un commento