martedì 11 giugno 2013

Ticket

Queste elezioni amministrative del  9/10 Giugno hanno fornito parecchi spunti di riflessione validi anche a livello nazionale, nonostante ciò che asseriscono gli sconfitti di turno.
Trattandosi di elezioni locali diffuse in tutto il territorio nazionale, e non solo in pochi comuni circoscritti in un numero limitato di regioni, emerge un chiaro e uniforme messaggio che riguarda in primis un'indicazione dell'elettorato nei confronti della capacità di amministrare: al PD questa capacità viene largamente riconosciuta, al PDL viene riconosciuta qualche volta, al M5S non viene riconosciuta. Gli altri partiti sono N.P., non pervenuti.

Sul M5S emerge un dato di fatto che nasce non solo dalla valutazione dei pochi risultati ottenuti finora a livello locale, ma anche a livello parlamentare, dove appare ormai consolidata una “fuga” del movimento dalle responsabilità gestionali. Nulla togliendo all'apprezzabile voglia di cambiamento, alle istanze ambientaliste e di pulizia espresse da Grillo e i suoi, è evidente ormai a tutti come questo sia un movimento nato per controllare, per setacciare gli sprechi, per accusare e criticare errori e orrori della politica, non certo per progettare e gestire. Un movimento dell'uomo qualunque 2.0 che fa leva su un voto tremendamente “volatile”, tremendamente di protesta, senza base ideologica solida. Trattandosi di un voto debole, poco ragionato, è un voto che confina de facto con la voragine dell'astensionismo, e appena cala un minimo di motivazione e di attenzione in quella voragine ci cade.

Quanto al PDL, si tratta di un eterno ritorno dell'eguale: quando c'è il capo si lotta per vincere, quando non c'è si scompare. Un partito il cui principale difetto non è tanto la difettosa presenza sul territorio, ma l'inconsistenza di una classe dirigente selezionata in base al grado di accondiscendenza nei confronti del capo, che quindi non è in grado di autoriprodursi, di evolversi, di crescere. Mancano idee, manca identità, manca passione.

Il PD, come detto, esce incredibilmente rafforzato dalla tornata elettorale. A mio avviso attualmente la forza del pd consiste in due aspetti che in realtà da molti sono considerati debolezze: la trasversalità e la contraddittorietà.
Il PD soffre infatti di molte contraddizioni, di lotte fratricide tra correnti, però proprio grazie a queste correnti pesca voti dalla sinistra post-comunista al centro cattolico, indistintamente. Ha dunque una base elettorale molto ampia. Non solo, ma l'essere partito perfettamente diviso tra rinnovamento e conservazione, usufruisce dei benefici di entrambi, in questo momento:
  • è protagonista di un governo che qualche risultato, pur in poco tempo, lo ha ottenuto, e ha in Enrico Letta un giovane premier rassicurante, un democristiano rivisto e corretto, competente, che piace molto al centro;
  • ha in Matteo Renzi, ma anche in Debora Serracchiani, in Marino, in Civati, e tante altre figure locali e nazionali di spicco schierate contro le larghe intese, megafoni vivaci del cambiamento e della rottamazione della vecchia classe politica.
Il poter contare su un elettorato tradizionalmente formato, competente, territorialmente organizzato e partecipativo fa sì che soffra meno degli altri il problema dell'astensionismo, e questo potenzialmente può essere un vero e proprio jolly per i futuri appuntamenti elettorali.

L'annotazione in chiave elezioni politiche nazionali in seguito a queste amministrative è dunque che il PD ha chiaramente in mano la possibilità di uno scacco matto. Un ticket “all'americana” Letta-Renzi, che faccia forza appunto su queste trasversalità/contraddittorietà di cui sopra, può davvero mettere a segno un risultato storico, la possibilità di ottenere una maggioranza solida che permetta di lavorare cinque anni come non è mai accaduto ad una coalizione di centro-sinistra in Italia.
Il rischio è comunque dietro l'angolo, perché è risaputo: la sinistra è la peggior nemica di se stessa.


Nessun commento:

Posta un commento