“Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa”.
(Stig Dagerman, “Il nostro bisogno di consolazione”, incipit)
Confessione di un’anima abbattuta, afflitta, in eterno conflitto con l’Inspiegabilità dell’Essere, questo brevissimo testo regala una densità di spunti inversamente proporzionale al numero di pagine di cui è composto. Alla ricerca incessante di “consolazione”, l’essere umano dipinto dal pittore espressionista Dagerman non riesce mai a soddisfarsi, ad appagarsi, se non per piccoli tremebondi attimi, dati da umane, ahi troppo umane cose: il caldo abbraccio di una donna, un’improvvisa ispirazione poetica, un’ennesima estasi in madre natura.
Ma la Luce, quella Luce che unica potrebbe dare consolazione perdurante, a noi intuttopococredenti è preclusa. Ed ecco allora che questo piccolo libro diviene premonitore di un destino maledetto, quello di Dagerman e del suo suicidio a soli 31 anni, allorché sempre più insistente si affaccia, sovente e convincente, la parola Morte. Parola troppo spesso, pericolosamente, posta vicina alla soluzione del Tutto, che Dagerman chiama appunto Consolazione. Come quando, al termine di una profonda esplicitazione di quella che è la sua inalienabile aspirazione alla Libertà, scrive:
“E mi pare di capire che il suicidio è l’unica prova della libertà umana”.
Il talento, il bisogno di sentirsi uno ed unico nei confronti di una massa sempre più opprimente, un esistenzialismo irrisolto e irrisolvibile, tutto questo emerge dalle poche pagine di questo testo a mio parere altissimo, vera e propria opera d’arte, breve riassunto di un autore poco conosciuto ma intenso e sconvolgente come pochi altri.
Per meglio comprendere il percorso di pensiero compiuto da Dagerman occorre tenere presente la sua formazione anarchica, lontanissima dalla tripartizione geo-politica imperante al tempo della sua gioventù, ovvero la “trimurti” Nazismo-Stalinismo-Americanismo. Questa incapacità di accettare una realtà inaccettabile per i suoi slanci romantici, la sua sensibilità, i suoi veraci sentimenti d’amore per l’umanità, traghetta lentamente la lucida razionalità di Dagerman da un anarchismo “politico” ad un anarchismo “esistenziale”, ovvero un tendenziale nichilismo che sfocia in vera e propria disperazione.
Per meglio comprendere il percorso di pensiero compiuto da Dagerman occorre tenere presente la sua formazione anarchica, lontanissima dalla tripartizione geo-politica imperante al tempo della sua gioventù, ovvero la “trimurti” Nazismo-Stalinismo-Americanismo. Questa incapacità di accettare una realtà inaccettabile per i suoi slanci romantici, la sua sensibilità, i suoi veraci sentimenti d’amore per l’umanità, traghetta lentamente la lucida razionalità di Dagerman da un anarchismo “politico” ad un anarchismo “esistenziale”, ovvero un tendenziale nichilismo che sfocia in vera e propria disperazione.
È a questa disperazione, conseguenza di un’angoscia dai connotati classicamente kierkegaardiani-heideggeriani, che Dagerman si rende conto di non poter dare consolazione, e questo breve testo ne è la splendida ma triste presa di coscienza finale.
A metà tra il testo filosofico e il monologo, quest’opera ricorda e si avvicina a opere di autori precoci e maledetti, tragici, e potrei al riguardo citare un Carlo Michaelstaedter o un Otto Weininger, per l’analoga fine che li contraddistingue, ma anche il Camus de “L’uomo in rivolta”. Tuttavia, emerge dalla lettura di questo libro (più che degli altri romanzi da lui scritti) una concreta originalità, un talento innato che rendono questo autore unico anche nel panorama della letteratura scandinava del primo Novecento.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Stig Dagerman, “Il nostro bisogno di consolazione”, Iperborea, Milano 1991.
Traduzione e introduzione di Fulvio Ferrari. In appendice, frammenti.
.Stig Dagerman (Älvkarleby, 1923 – Stoccolma, 1954), scrittore, poeta, saggista, sceneggiatore svedese. Diresse “Storm”, giornale della gioventù anarchica. Debuttò pubblicando il romanzo “Il serpente” nel 1945.
Prima edizione: “Vårt behov av tröst”, 1952.