Non ci sono dubbi: la politica ha deluso tutti.
Ha deluso ad ogni livello, in ogni campo, difficile trovare qualcuno che sostenga il contrario. C'è però un settore, in Italia, che per certi aspetti è ancora più deludente della politica: il giornalismo.
Salvo rari, benemeriti casi, in Italia il giornalismo è il frutto scadente di un posizionamento strategico, l'emanazione costante e patetica dell'asservimento alla quota di mercato di riferimento.
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Lo spettacolo è miserrimo: giornalisti supini che narrano le gesta dell' insignificante capocorrente di turno come fosse Adenauer, cantori di impavidi rivoluzionari che tratteggiano sceneggiate puerili come fossero prese della Bastiglia, funamboli del taglia e cuci che aggiustano dichiarazioni in base ai gusti dei propri lettori.
Dimmi cosa voti e ti dirò ciò che vuoi, sembra essere il modus operandi delle testate nostrane.
Preoccupa molto questa situazione in cui non è tanto la libertà di stampa ad essere in pericolo (nella speciale classifica grazie alle recenti riforme abbiamo scalato diverse posizioni) quanto l'atteggiamento di fornitori e fruitori di informazioni, per i quali al racconto dei fatti viene sempre anteposta l'opinione, il giudizio schierato politicamente.
Il lettore italiano medio prova quasi ribrezzo per quel lavoro duro, noioso, a volte fastidioso di ricerca della verità, di approfondimento, di elaborazione di un giudizio libero. Predilige notizie preconfezionate che gli dicano che le sue scelte di campo sono quelle giuste, che gli forniscano qualche argomento da utilizzare nelle discussioni tra amici.
Purtroppo la stampa, come la politica, sono sempre lo specchio di un paese.
Sarebbe quindi utopico aspirare oggi, dopo venti anni di berlusconismo, dopo mezzo secolo di lottizzazioni sfrenate dei media pubblici, di manuale Cencelli applicato alle direzioni di giornali e telegiornali, ad un giornalismo del livello anche culturale che questo paese meriterebbe: e pensare che un tempo il livello del nostro giornalismo era assoluto.
Ricordare la qualità, il fermento culturale espresso dalle riviste fiorentine del primo novecento, ai Papini e ai Prezzolini, ai Croce e ai Salvemini, all'autorità anche morale del Corriere della Sera del direttorissimo Albertini, alla bellezza degli elzeviri di Montale sullo stesso quotidiano mette soltanto tanta tristezza e una dolorosa malinconia.
Ricordare la qualità, il fermento culturale espresso dalle riviste fiorentine del primo novecento, ai Papini e ai Prezzolini, ai Croce e ai Salvemini, all'autorità anche morale del Corriere della Sera del direttorissimo Albertini, alla bellezza degli elzeviri di Montale sullo stesso quotidiano mette soltanto tanta tristezza e una dolorosa malinconia.
Imparzialità, questa sconosciuta.
Oggi abbiamo a disposizione solamente prodotti mediatici schierati politicamente, giornali che cercano di influire sulla politica, giornali (e siti) che in maniera parassitaria traggono sussistenza inseguendo l'umore di questo o quel capopartito.
Oggi abbiamo a disposizione solamente prodotti mediatici schierati politicamente, giornali che cercano di influire sulla politica, giornali (e siti) che in maniera parassitaria traggono sussistenza inseguendo l'umore di questo o quel capopartito.
In un paese dove la destra ottocentesca è stata esempio di liberalismo, abbiamo una destra in cui gli unici due quotidiani di riferimento (Il Giornale e Libero) sono praticamente proprietà di Berlusconi, come lo sono diversi canali televisivi, e l'impatto sull'opinione pubblica, l'alterazione della verità in questo ventennio sappiamo essere stato devastante.
Abbiamo una sinistra che perpetua da decenni un circolo vizioso di auto-indulgenza verso una militarizzazione degli organi di stampa: giornali, telegiornali che raccontavano verità comode chiudendo gli occhi di fronte ad una realtà di errori, occasioni perse, consociativismi, compromessi al ribasso. Oppure, in alternativa, abbiamo avuto per decenni giornali del tutto schiavi di un'ideologia (Il Manifesto, l'Unità) che nel frattempo veniva demolita dalla storia, così da trovarsi improvvisamente senza lettori, senza sostenitori, senza senso. Ovvio, se racconti una realtà che non c'è più.
Il problema però, in rapporto al "nuovo che avanza", è addirittura ancor più pericoloso: da Renzi e la sua strategia tutta fondata sul marketing dalla quale la televisione appare totalmente inebetita, fino a quella che si presenta come opposizione al sistema che al contrario usa mezzi nuovi (internet) ma metodi vecchissimi.
Quest'ultimo prodotto della faziosità italica è infatti tra i peggiori in assoluto specie per la qualità del prodotto giornalistico: siti internet (alcuni dei quali di proprietà del cofondatore del Movimento 5 stelle, che di questo stiamo parlando) che usano un linguaggio del tutto sproporzionato e fuorviante rispetto a ciò che raccontano. Un vortice di urla e scandalismo basato sul nulla (quando va bene) o sulla menzogna (nei casi peggiori).
Produzioni seriali di FINTI SCOOP (come ben testimonia questo articolo), fotomontaggi da asilo, ricerca spasmodica di click a buon mercato, ipnosi del lettore al quale vengono fornite valvole di sfogo alla propria rabbia in un coacervo di balle, rivelazioni apocalittiche, illusioni di verità alternative che hanno come unico risultato ottenuto quello di aver creato una nuova figura sociale: quella dell'adepto (incazzato) al Nulla.
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