lunedì 1 luglio 2013

Adda venì Baffino

O per meglio dire: a volte ritornano.
Nel PD aveva perso la sua influenza, e perfino il suo delfino di un tempo, Bersani, lo aveva apparentemente rinnegato.
Matteo Renzi aveva ottenuto come suo primo risultato storico, nella partita a scacchi tutta interna al PD, la sua rottamazione (oltre a quella di Veltroni). La sua paventata elezione alla Presidenza della Repubblica, durante le notti dei lunghi coltelli nel PD, non era mai davvero decollata, se non sulla base di qualche dichiarazione a favore di esponenti del PDL.
Eppure, ce lo ritroviamo nuovamente in prima pagina, a dire la sua con quell'inconfondibile, insostenibile sicumera.
Massimo D'Alema, Baffino, è di nuovo tra noi. Appare e scompare nei momenti topici come un cavaliere vendicatore, pronto ad infilzare questo o quell'avversario politico nei momenti decisivi della battaglia.
La cosa più controversa, per chi lo segue con attenzione, è che i suoi più acerrimi nemici sono sempre stati tutti nel suo partito: Veltroni in primis, eppoi Prodi, Renzi e chiunque rappresentasse in un determinato momento storico il cambiamento.
D'Alema, il Grande Conservatore, ha coltivato le sue inimicizie interne rimanendo sempre attentissimo a non torcere un capello a quelle esterne al partito: da lui nessuno dei "nemici pubblici" del centro-sinistra ha mai ottenuto ostacoli. A cominciare da Berlusconi, il più vezzeggiato dei "Non-Nemici" dell'ex segretario dei DS.
Il suo agire politico e diplomatico ha storicamente prodotto come unico risultato quello del mantenimento dello status-quo. Nei fatti la sua battaglia è stata sempre una battaglia di reazione, contro le istanze autenticamente riformatrici, liberali o socialdemocratiche che fossero. L'uomo a cui gran parte del popolo di sinistra ha sempre riconosciuto una fantomatica "grande intelligenza" superiore a quella di tutti gli altri protagonisti, ha operato nell'ombra per arginare il successo di coloro che di volta in volta potevano rappresentare una svolta vera per il PD e per l'Italia: lo ha fatto con Walter Veltroni, l' "americano", colui che ha permesso al PD di ottenere, senza alleanze confusionarie, il miglior risultato della sua storia, e adesso, nonostante gli incontri di facciata, sta nuovamente applicandosi a bloccare l'ascesa dell'unica vera novità del panorama italiano, ovvero il progetto riformista Liberal-Democratico di Matteo Renzi con la sua voglia di ribaltone generazionale.

Tuttavia, c'è un'altra grande passione di D'Alema che va sottolineata: quella della sconfitta. Un piacere ed un' inclinazione alla debacle, all'errore, al misunderstanding politico tanto puntuale quanto misteriosa: sì, perché questo non azzeccarne mai una, il non riuscire mai a stare dalla parte giusta al momento giusto, e nonostante questo mantenere il suo status di oracolo della sinistra, è davvero qualcosa di inesplicabile.

Il PD è un partito composto di molte anime, è risaputo. E poi c'è una parte del PD che di anima ne è totalmente priva, chissà, forse perché l'ha faustianamente venduta al diavolo (che in Italia ha un nome e un cognome).
Ecco: finché il partito non si sarà liberato da questi "disanimati" (che siano 101 o di più) non sarà in grado di affrontare le esigenze di cambiamento che larga parte dell'opinione pubblica sta chiedendo in ogni forma: dal voto di protesta all'astensionismo.

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