sabato 27 luglio 2013

Cosa c'è che non va.

Oggi che il principale sport nazionale è diventato l'antipolitica, l'offesa becera, triste e incondizionata a tutto ciò che è "potere", duole particolarmente rilevare come, mentre la politica migliora se stessa troppo lentamente, la società italiana è al centro di un declino velocissimo.

L'invidia, l'esasperazione, la demagogia assurta a ideologia, le difficoltà economiche mai viste prima, e soprattutto una gestione della Res Publica obiettivamente ripugnante hanno portato il livello di stima nei confronti della classe dirigente mai così basso. Tuttavia, la classe politica è sempre specchio di una società, e non può fungere da capro espiatorio per una destrutturazione, una dequalificazione dell'opinione pubblica che ha raggiunto livelli davvero vergognosi. 

Assistiamo quotidianamente, anche grazie alla diffusione dei social network che danno voce e visibilità (o per meglio dire sfogo) a qualsiasi istinto raccapricciante, ad un'inondazione di luoghi comuni, di offese, di espressioni ai confini della denuncia penale verso tutto e tutti. Viviamo un'epoca di imbarbarimento comunicativo in cui già a partire dalla forma (esiste ancora una grammatica italiana?) si denota il totale disprezzo delle regole, del prossimo, del buonsenso.
I numerosi casi di offese al ministro Kyenge sono ormai divenuti consuetudine, e fanno provare davvero profonda vergogna di appartenere a questo paese.

D'altronde, abbiamo nel corso del tempo sdoganato il turpiloquio elevandolo a pensiero-unico: i casi dei vari Bossi, Calderoli, Grillo, La Russa (e tanti, troppi altri) che guadagnano consenso utilizzando argomenti tanto bassi quanto scurrili ne è sintomo preoccupante.
La protesta come unica forma di azione politica sta finendo per silenziare sotto un incondizionato brusio privo di senso qualsiasi tentativo di cambiamento, qualsiasi atto di buona volontà (esempio palese la cronaca parlamentare di questi ultimi giorni su due tentativi di riforma importanti come l'abolizione delle province e il riequilibrio delle cosiddette "pensioni d'oro", presentati da taluni come "golpe silenzioso"...).

Cosa c'è che non va? C'è che l'argomentazione nel dialogo pubblico è divenuta povera, immediata.
A furia di seguire il diktat della comunicazione televisiva che impone tempi brevi e terminologia semplice ci siamo tutti tuffati in un' iper-semplificazione della nostra forma-mentis, in un irrazionalismo istintivo che non ci permette mai di arrivare a comprendere, ad elaborare in profondità le soluzioni che dovremmo approntare ai problemi del vivere comune.
Milioni di critici, miliardi di proteste contro tutto e tutti, sostanzialmente riepilogabili in pochi sfottò o offese, in caricature e piccinerie personalistiche, e MAI nessuna soluzione completa, articolata. Chi ha il coraggio di proporre è sempre e soltanto visto come uno che ha degli interessi.
Di questo passo, se non riusciremo a tornare a fidarci di qualcuno accuratamente valutato cui delegare la gestione della cosa pubblica, non ci si prospetta che un lento e inesorabile declino verso la barbarie e l'improvvisazione.

sabato 20 luglio 2013

Tormenti d'amore, in Ohio.

Ci sono arrivato recentemente, colpevolmente troppo recentemente, a loro.
Sono i The National, gruppo che nasce indie per sbocciare poi nelle classifiche di tutto il mondo senza perdere quell'approccio indipendente e personale che ne contorna da sempre lo stile.

Bloodbuzz Ohio, che sull'onda dell'entusiasmo mi spingerei a definire una delle più belle canzoni rock degli ultimi 15 anni (tanto sono gusti, avrei anche potuto dire inconfutabilmente 28 o 47), si appoggia, come molti altri successi del gruppo di Brooklyn, sul contrastato intreccio dolce-violento di batteria e voce. Una ritmica sostenuta, aggressiva, senza pause e irriflessiva, che si accompagna ad una voce baritonale profonda e calma, severa ma suadente.
Pur senza raggiungere grandi vette poetiche (in altre canzoni Matt Berninger fornisce prove di scrittura ben più apprezzabili: penso, ad esempio, a "pink rabbits") nella canzone emana un mood, una maturità che va oltre l'abilità puramente letteraria delle assonanze e delle metafore. Nello scorrere e nel rincorrersi di voce e ritmo si formano nell'immaginario dell'ascoltatore, pur senza essere evocate direttamente, immagini mitiche della cinematografia americana di tardo-pomeriggi piovosi da affrontare con il trench indosso.
In un andirivieni di rimpianti e delusioni (d'altronde, la definizione che i The national danno della propria musica è "delusional rock"...) le emozioni di una solitudine tormentata cozzano tra sé nella canzone sullo sfondo del "bellwether state", l'Ohio appunto, terra di industrie, di natura fertile e di politica (la politica è una costante nella vita pubblica del gruppo, come dimostrano le performances in favore di Obama di "Mr. November").
Il finale erge sul piedistallo una cavalcata di chitarra perfettamente calata nell'ambientazione, e va a chiudere con un'energia travolgente il pezzo, lasciando emergere finalmente, in un lampo di democrazia un po' octroyèe, anche gli altri componenti della band (due coppie di gemelli).

Interessante anche il video, nel quale è assoluto protagonista un Berninger un po' piacione ma perfettamente calato, humphreybogartianamente, nella storia.

lunedì 15 luglio 2013

Così parlò Calderoli

Da quando Enrico Letta ha avuto la spudoratezza di nominare ministro Cècile Kyenge, ai leghisti si è azzerata la salivazione. Un po' come se durante una cena sociale di cacciatori di cinghiali, facessi volare sulla tavolata un bel cinghialotto giovane, vivo e vegeto.
Il prode, ineffabile Roby Calderoli a questa mattanza ha voluto ovviamente presenziare in prima persona, e da protagonista, che lui è uno di quelli che contano, a quelle cene (una rilevazione statistica sul tasso alcoolico medio giornaliero lo dimostrerebbe senza possibili repliche).

Il memorabile ex dentista, ex ministro per la semplificazione, ex (sarebbe il caso) vicepresidente del senato, al grido di "Bergamo nazione/ tutto il resto è meridione" (il suo slogan preferito) si è prepotentemente inserito nella gara con i suoi pari a chi la dicesse più grossa contro il ministro uscendosene con un bel "quando vedo la Kyenge non posso non pensare ad un orango".
Calderoli però ne ha ben donde di criticare il neo-ministro, dall'alto della sua proficua stagione da servitore dello stato. Già, perché il nostro Robertino nazionale vanta grandi imprese...
Fustigatore inutile delle leggi inutili.
Un bel giorno organizzò un falò in cui raccontò al mondo di aver "simbolicamente" (ma non troppo) bruciato migliaia di leggi. Leggi vecchie, superate. Le ha tagliate, così, come si fa con i rami secchi, senza preoccuparsi di sostituirle, di ammodernarle, di riformarle. Ovvio, sarebbe stato troppo complesso per lui. La liaison tra il verde della camicia e quello delle siepi padane fa sperare in un futuro radioso nel giardinaggio.

Fustigatore di riti arcaici che si sposa con rito arcaico.
Come molti leghisti si compiace nel criticare la provenienza del ministro, criticandone una non precisata volontà di imporre "riti tribali" congo-style nel nostro paese. Che, detto da uno che si è sposato con "rito celtico" (davvero!) è decisamente ammirevole.


Fustigatore di leggi elettorali suine.
Calderoli è notoriamente il principale autore dell'attuale legge elettorale italiana, la peggiore delle galassie conosciute, il cosiddetto "Porcellum", da lui stesso definito "una porcata" (le metafore etologiche ne contraddistinguono da sempre la poetica). Spesso lo si sente oggi criticare quella legge, colto da senso di colpa. Come spesso gli accade, Calderoli prima fa il danno (e ne fa tanti), poi chiede scusa.

Si sa, il senso della misura e dell'autocoscienza non permea le profondità (?) dei nobili animi leghisti, ma la nostra sì, quindi per non farla troppo lunga la chiudiamo qui con l'elenco delle mirabilie calderoliane.
Rimane una conclusione finale: Calderoli e Kyenge, di fatto, si muovono in due direzioni, sulla via dell'evoluzione dell'umanità, totalmente opposte. Il ministro si batte alacremente per il Progresso, Calderoli al contrario è un campione morale del Regresso.

lunedì 1 luglio 2013

Adda venì Baffino

O per meglio dire: a volte ritornano.
Nel PD aveva perso la sua influenza, e perfino il suo delfino di un tempo, Bersani, lo aveva apparentemente rinnegato.
Matteo Renzi aveva ottenuto come suo primo risultato storico, nella partita a scacchi tutta interna al PD, la sua rottamazione (oltre a quella di Veltroni). La sua paventata elezione alla Presidenza della Repubblica, durante le notti dei lunghi coltelli nel PD, non era mai davvero decollata, se non sulla base di qualche dichiarazione a favore di esponenti del PDL.
Eppure, ce lo ritroviamo nuovamente in prima pagina, a dire la sua con quell'inconfondibile, insostenibile sicumera.
Massimo D'Alema, Baffino, è di nuovo tra noi. Appare e scompare nei momenti topici come un cavaliere vendicatore, pronto ad infilzare questo o quell'avversario politico nei momenti decisivi della battaglia.
La cosa più controversa, per chi lo segue con attenzione, è che i suoi più acerrimi nemici sono sempre stati tutti nel suo partito: Veltroni in primis, eppoi Prodi, Renzi e chiunque rappresentasse in un determinato momento storico il cambiamento.
D'Alema, il Grande Conservatore, ha coltivato le sue inimicizie interne rimanendo sempre attentissimo a non torcere un capello a quelle esterne al partito: da lui nessuno dei "nemici pubblici" del centro-sinistra ha mai ottenuto ostacoli. A cominciare da Berlusconi, il più vezzeggiato dei "Non-Nemici" dell'ex segretario dei DS.
Il suo agire politico e diplomatico ha storicamente prodotto come unico risultato quello del mantenimento dello status-quo. Nei fatti la sua battaglia è stata sempre una battaglia di reazione, contro le istanze autenticamente riformatrici, liberali o socialdemocratiche che fossero. L'uomo a cui gran parte del popolo di sinistra ha sempre riconosciuto una fantomatica "grande intelligenza" superiore a quella di tutti gli altri protagonisti, ha operato nell'ombra per arginare il successo di coloro che di volta in volta potevano rappresentare una svolta vera per il PD e per l'Italia: lo ha fatto con Walter Veltroni, l' "americano", colui che ha permesso al PD di ottenere, senza alleanze confusionarie, il miglior risultato della sua storia, e adesso, nonostante gli incontri di facciata, sta nuovamente applicandosi a bloccare l'ascesa dell'unica vera novità del panorama italiano, ovvero il progetto riformista Liberal-Democratico di Matteo Renzi con la sua voglia di ribaltone generazionale.

Tuttavia, c'è un'altra grande passione di D'Alema che va sottolineata: quella della sconfitta. Un piacere ed un' inclinazione alla debacle, all'errore, al misunderstanding politico tanto puntuale quanto misteriosa: sì, perché questo non azzeccarne mai una, il non riuscire mai a stare dalla parte giusta al momento giusto, e nonostante questo mantenere il suo status di oracolo della sinistra, è davvero qualcosa di inesplicabile.

Il PD è un partito composto di molte anime, è risaputo. E poi c'è una parte del PD che di anima ne è totalmente priva, chissà, forse perché l'ha faustianamente venduta al diavolo (che in Italia ha un nome e un cognome).
Ecco: finché il partito non si sarà liberato da questi "disanimati" (che siano 101 o di più) non sarà in grado di affrontare le esigenze di cambiamento che larga parte dell'opinione pubblica sta chiedendo in ogni forma: dal voto di protesta all'astensionismo.