Oggi che il principale sport nazionale è diventato l'antipolitica, l'offesa becera, triste e incondizionata a tutto ciò che è "potere", duole particolarmente rilevare come, mentre la politica migliora se stessa troppo lentamente, la società italiana è al centro di un declino velocissimo.
L'invidia, l'esasperazione, la demagogia assurta a ideologia, le difficoltà economiche mai viste prima, e soprattutto una gestione della Res Publica obiettivamente ripugnante hanno portato il livello di stima nei confronti della classe dirigente mai così basso. Tuttavia, la classe politica è sempre specchio di una società, e non può fungere da capro espiatorio per una destrutturazione, una dequalificazione dell'opinione pubblica che ha raggiunto livelli davvero vergognosi.
Assistiamo quotidianamente, anche grazie alla diffusione dei social network che danno voce e visibilità (o per meglio dire sfogo) a qualsiasi istinto raccapricciante, ad un'inondazione di luoghi comuni, di offese, di espressioni ai confini della denuncia penale verso tutto e tutti. Viviamo un'epoca di imbarbarimento comunicativo in cui già a partire dalla forma (esiste ancora una grammatica italiana?) si denota il totale disprezzo delle regole, del prossimo, del buonsenso.
I numerosi casi di offese al ministro Kyenge sono ormai divenuti consuetudine, e fanno provare davvero profonda vergogna di appartenere a questo paese.
D'altronde, abbiamo nel corso del tempo sdoganato il turpiloquio elevandolo a pensiero-unico: i casi dei vari Bossi, Calderoli, Grillo, La Russa (e tanti, troppi altri) che guadagnano consenso utilizzando argomenti tanto bassi quanto scurrili ne è sintomo preoccupante.
La protesta come unica forma di azione politica sta finendo per silenziare sotto un incondizionato brusio privo di senso qualsiasi tentativo di cambiamento, qualsiasi atto di buona volontà (esempio palese la cronaca parlamentare di questi ultimi giorni su due tentativi di riforma importanti come l'abolizione delle province e il riequilibrio delle cosiddette "pensioni d'oro", presentati da taluni come "golpe silenzioso"...).
Cosa c'è che non va? C'è che l'argomentazione nel dialogo pubblico è divenuta povera, immediata.
A furia di seguire il diktat della comunicazione televisiva che impone tempi brevi e terminologia semplice ci siamo tutti tuffati in un' iper-semplificazione della nostra forma-mentis, in un irrazionalismo istintivo che non ci permette mai di arrivare a comprendere, ad elaborare in profondità le soluzioni che dovremmo approntare ai problemi del vivere comune.
A furia di seguire il diktat della comunicazione televisiva che impone tempi brevi e terminologia semplice ci siamo tutti tuffati in un' iper-semplificazione della nostra forma-mentis, in un irrazionalismo istintivo che non ci permette mai di arrivare a comprendere, ad elaborare in profondità le soluzioni che dovremmo approntare ai problemi del vivere comune.
Milioni di critici, miliardi di proteste contro tutto e tutti, sostanzialmente riepilogabili in pochi sfottò o offese, in caricature e piccinerie personalistiche, e MAI nessuna soluzione completa, articolata. Chi ha il coraggio di proporre è sempre e soltanto visto come uno che ha degli interessi.
Di questo passo, se non riusciremo a tornare a fidarci di qualcuno accuratamente valutato cui delegare la gestione della cosa pubblica, non ci si prospetta che un lento e inesorabile declino verso la barbarie e l'improvvisazione.