domenica 29 settembre 2013

Pedalare in salita.

É un microcosmo curioso quello del PDL. Ci vivono personaggi antropologicamente interessanti.
Composto al 70% di avvocati, 20% di democristiani e socialisti riciclati e al 10% di veline, quando il capo comanda loro obbediscono in massa, senza porsi domande. Questo finché conviene, perché poi, quando inizia a materializzarsi il rischio di perdere qualche privilegio, ecco che si trasformano in veloci ed agilissimi leprotti pronti con nonchalance a saltare il fosso e a prendere le distanze.
Finché necessario, però, acriticamente difendono il proprietario, finanziatore, primo azionista del partito gettandosi in difese dialettiche ai limiti del volo pindarico. Si cibano di cavilli giurisprudenziali e fanno dell'incoerenza, o meglio della contraddizione, la loro arma atomica.
Un esempio? Votano in blocco a favore di una legge (vedi la Severino) salvo poi indicarla solo pochi mesi dopo come "incostituzionale" (come se a loro fosse mai fegato qualcosa della Costituzione...) nel momento in cui si ritorce contro il loro demiurgo.
Nacquero come alternativa Liberale, ma col tempo si sono trasformati in una dittatura dell'opportunismo che minaccia uno dei principali capisaldi del liberalismo: la divisione dei poteri. Quando pensano alla magistratura la immaginano come un cucciolo di chihuahua al guinzaglio doppio e stretto tirato da un padrone dai capelli finti/tinti.
Mistificano provvedimenti economici demagogici, utili soltanto a se stessi e a pochi benestanti, con promesse mantenute nei confronti di tutto il popolo italiano, giocando sull'ingenuità delle fette di popolazione meno preparate e informate.

Questo era il PDL prima e lo è adesso. Averci fatto un governo insieme era fin dall'inizio un'assunzione di responsabilità doppiamente pericolosa per il PD e per Letta, che anziché indicare 3-4 provvedimenti urgenti e tornare al voto ha voluto perdurare, ha voluto tirarla per le lunghe. Sapeva che avrebbe dovuto pedalare in salita per mesi, ma non ha voluto ammettere di non avere una squadra in grado di reggere questo sforzo.
Sapevamo tutti che la questione giustizia sarebbe stato un Gran Premio della Montagna invalicabile.

Adesso la crisi sarà lunga, l'instabilità provocherà perdita di credito e fiducia sui mercati e non potendo cambiare la legge elettorale non è detto che il risultato sarà diverso da un eventuale nuova tornata elettorale.

Ancora una volta la classe politica ha tradito, ha sbagliato, ed è inevitabile che la reazione di molti italiani sia di rabbia, di critica totale, di sfiducia per il presente e per il futuro, visto il passato.
Anche per chi è abituato a non perdersi in risposte populiste, superficiali, da sfascisti professionisti ma ad addentrarsi nel merito di singoli provvedimenti, singoli operati di singoli ministri diventa difficile controbattere ad un malessere generalizzato e consolidato.
L'ottimismo confina ormai con l'utopia.

Eppure, una piccola luce in questa giornata buia c'è.
Si disputa oggi il mondiale di ciclismo. Un'organizzazione perfetta e, nonostante il diluvio, la partecipazione, l'emozione di tante persone sono la dimostrazione che quando si vuole, in Italia, si riesce a dare anche una bella immagine di sé.

L'unione di intenti tra tanti volontari appassionati di sport, la bellezza mozzafiato della location, le idee e la capacità manageriale di chi ha voluto questo evento hanno dato al mondo un'immagine invidiabile di questa nostra terra.
Credo che si debba ripartire proprio da qui: dalle tante amministrazioni locali preparate, capaci, concrete. L'amministrazione locale in Italia funziona, non è coinvolta dai giochi di palazzo come la politica nazionale, conosce e comprende meglio le reali necessità della cittadinanza. La stessa legge elettorale per l'elezione dei sindaci è l'unica che funziona davvero.
Ripartiamo da qui, perché è troppo presto per smettere di sperare.

sabato 28 settembre 2013

"Intermittenza"


C'è uno stormo d'aquiloni

nel tempo che ci sorvola gl' animi

in questa lunga intermittenza

di silenzio e di speranza.

giovedì 12 settembre 2013

Scalfari, Bergoglio e il perdono.

Papa Francesco I, cui non difetta certamente l'umiltà (a differenza di molti suoi predecessori) ha deciso di rispondere ad una lettera del "Papa laico" Eugenio Scalfari su Repubblica.
Si tratta di una decisione che mostra un'apertura, una comprensione e una disponibilità al dialogo con i non credenti mai vista prima da parte della Chiesa, che colpisce anche emozionalmente chi da sempre custodisce nel silenzio della propria anima dubbi e riflessioni ai confini dello spirito.
Scalfari poneva, tra le altre, alcune domande riguardanti il rapporto tra Dio e una possibile, eventuale Grazia a un non credente. Ebbene, contrariamente alle più deteriori ortodossie, Papa Francesco ha dimostrato di avere un'apertura mentale sul tema e una sensibilità sorprendenti.

"Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza."

É questa la risposta centrale di tutto il dialogo, ed è un messaggio rivoluzionario, prepotente, scandaloso nella sua modernità.
I ferventi credenti hanno sempre concepito la propria fede, fatta di preghiera e sacrifici, come unica depositaria di verità, unico sentiero che portasse alla Grazia, alla salvezza, al Paradiso. Ne avevano ben donde, viste le privazioni cui la dottrina li obbligava.
Per i non-credenti di buon senso, tifosi del libero arbitrio e attenti ascoltatori della propria coscienza, era inconcepibile che un Dio "buono" come quello cristiano non fosse in grado di andare oltre le barriere dogmatiche e non sapesse vedere attraverso i muri dell'appartenenza: la coscienza pura, il comportamento etico, la moralità dispiegata nei comportamenti quotidiani e verso il prossimo non potevano non essere considerati nel "giudizio finale".
Oggi, dalle parole che emergono da questo dialogo, sappiamo che anche senza il dono della Fede l'agire coscienzioso è ritenuto salvifico, anche dal capo della Chiesa. Viene da pensare, leggendo le parole del Papa, che le ortodossie non abbiano dunque ragion d'essere, non siano poi così apprezzate, e rappresentino soltanto un inutile estremismo atto soltanto a creare conflitti tra popoli, tra etnie, tra persone. Un irrigidimento ideologico che non è figlio di una spiritualità verace.
Un clima di maggiore tolleranza, incontro ed equilibrio può essere inaugurato da questa nuova prospettiva, e non può che portare benefici all'intero sistema di relazioni del genere umano.

sabato 7 settembre 2013

Pacifismo low cost


Non c'è pace senza giustizia, e non c'è giustizia senza responsabilità.

In Siria sono in atto e sono stati commessi CRIMINI contro l'umanità. Crimini contro civili, contro bambini, contro donne e contro uomini in rivolta (ma questo dal punto di vista dello stato non cambia niente). La dittatura siriana utilizza il crimine e il genocidio come arma di lotta contro le opposizioni, e questa è la più grande delle ingiustizie, perché va a coinvolgere anche migliaia di innocenti. E questo al di là dell'uso che l' uso di gas.sia o meno comprovato.
In Siria si muore e si vede negata la giustizia da parte dello stato: come può un' organizzazione internazionale, o un qualsiasi paese sovrano, non prenderne atto? Come può una nazione moderna non prendersi la responsabilità di fermare questo sovvertimento dei più comuni diritti dell'uomo?


I soliti, famigerati democristiani di casa nostra, che quando Pannella si addentrava in uno dei suoi scioperi della fame deridevano il leader radicale come fosse un pagliaccio perdigiorno, adesso traggono giovamento da questa inutile protesta: si depurano le coscienze, fingono di interessarsi alle questioni internazionali, fanno professione di pacifismo e nonviolenza a buon mercato.
Intanto però i genocidi continuano, i gas sono ancora nelle cupe atmosfere di questa terra abbandonata a se stessa, e la catastrofe umanitaria si trasforma velocemente in migrazione di massa.
Dai ministri Mauro e Lupi, da Casini fino ai Celentano e Morandi di turno, tutti rinunciano alla cotoletta panata e alla carotina alla julienne, oggi. E domani?
Domani accadrà che altre ingiustizie verranno commesse da questo dittatore spietato, ma il silenzio sarà caduto sullo show del digiuno anti-bellico e nessuno muoverà un dito in difesa di chi avrà perso familiari, casa, dignità.
Alcuni di quelli che oggi digiunano sono gli stessi che qualche anno fa (2010) non avevano niente da commentare quando veniva concessa una delle massime onoreficenze italiane a Assad, l' "Ordine al merito della Repubblica italiana", salvo poi vederla revocata nel 2012. Solita ambigua, opportunistica, vile schizofrenia italiana dei giudizi sempre sommari, sempre imperfetti (Gheddafi docet).
Anche i campioni della destra nostrana, tipo Alemanno, si sono affrettati a proclamare la propria adesione al digiuno contro la guerra. Bravi, bravissimi. Poi però si dichiarano totalmente indisponibili all'accoglienza dei profughi, dei rifugiati, delle gente comune che immancabilmente dovrà spostarsi se l'ordine e la giustizia in quel paese non verranno ripristinati. Come conciliano le due cose?

Torniamo dunque al punto di partenza: se si vuole essere utili al prossimo, occorre agire affinché la giustizia venga ripristinata, anche attraverso l'uso (minimo indispensabile) della forza, almeno inizialmente. Se invece non si intende prendersi la responsabilità di ripristinare un livello minimo di giustizia, bé, allora avremo una PACE vuota come un deserto, e inutile come una preghiera.