É un microcosmo curioso quello del PDL. Ci vivono personaggi antropologicamente interessanti.
Composto al 70% di avvocati, 20% di democristiani e socialisti riciclati e al 10% di veline, quando il capo comanda loro obbediscono in massa, senza porsi domande. Questo finché conviene, perché poi, quando inizia a materializzarsi il rischio di perdere qualche privilegio, ecco che si trasformano in veloci ed agilissimi leprotti pronti con nonchalance a saltare il fosso e a prendere le distanze.
Finché necessario, però, acriticamente difendono il proprietario, finanziatore, primo azionista del partito gettandosi in difese dialettiche ai limiti del volo pindarico. Si cibano di cavilli giurisprudenziali e fanno dell'incoerenza, o meglio della contraddizione, la loro arma atomica.
Un esempio? Votano in blocco a favore di una legge (vedi la Severino) salvo poi indicarla solo pochi mesi dopo come "incostituzionale" (come se a loro fosse mai fegato qualcosa della Costituzione...) nel momento in cui si ritorce contro il loro demiurgo.
Un esempio? Votano in blocco a favore di una legge (vedi la Severino) salvo poi indicarla solo pochi mesi dopo come "incostituzionale" (come se a loro fosse mai fegato qualcosa della Costituzione...) nel momento in cui si ritorce contro il loro demiurgo.
Nacquero come alternativa Liberale, ma col tempo si sono trasformati in una dittatura dell'opportunismo che minaccia uno dei principali capisaldi del liberalismo: la divisione dei poteri. Quando pensano alla magistratura la immaginano come un cucciolo di chihuahua al guinzaglio doppio e stretto tirato da un padrone dai capelli finti/tinti.
Mistificano provvedimenti economici demagogici, utili soltanto a se stessi e a pochi benestanti, con promesse mantenute nei confronti di tutto il popolo italiano, giocando sull'ingenuità delle fette di popolazione meno preparate e informate.
Questo era il PDL prima e lo è adesso. Averci fatto un governo insieme era fin dall'inizio un'assunzione di responsabilità doppiamente pericolosa per il PD e per Letta, che anziché indicare 3-4 provvedimenti urgenti e tornare al voto ha voluto perdurare, ha voluto tirarla per le lunghe. Sapeva che avrebbe dovuto pedalare in salita per mesi, ma non ha voluto ammettere di non avere una squadra in grado di reggere questo sforzo.
Sapevamo tutti che la questione giustizia sarebbe stato un Gran Premio della Montagna invalicabile.
Sapevamo tutti che la questione giustizia sarebbe stato un Gran Premio della Montagna invalicabile.
Adesso la crisi sarà lunga, l'instabilità provocherà perdita di credito e fiducia sui mercati e non potendo cambiare la legge elettorale non è detto che il risultato sarà diverso da un eventuale nuova tornata elettorale.
Ancora una volta la classe politica ha tradito, ha sbagliato, ed è inevitabile che la reazione di molti italiani sia di rabbia, di critica totale, di sfiducia per il presente e per il futuro, visto il passato.
Anche per chi è abituato a non perdersi in risposte populiste, superficiali, da sfascisti professionisti ma ad addentrarsi nel merito di singoli provvedimenti, singoli operati di singoli ministri diventa difficile controbattere ad un malessere generalizzato e consolidato.
L'ottimismo confina ormai con l'utopia.
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Si disputa oggi il mondiale di ciclismo. Un'organizzazione perfetta e, nonostante il diluvio, la partecipazione, l'emozione di tante persone sono la dimostrazione che quando si vuole, in Italia, si riesce a dare anche una bella immagine di sé.
L'unione di intenti tra tanti volontari appassionati di sport, la bellezza mozzafiato della location, le idee e la capacità manageriale di chi ha voluto questo evento hanno dato al mondo un'immagine invidiabile di questa nostra terra.
Credo che si debba ripartire proprio da qui: dalle tante amministrazioni locali preparate, capaci, concrete. L'amministrazione locale in Italia funziona, non è coinvolta dai giochi di palazzo come la politica nazionale, conosce e comprende meglio le reali necessità della cittadinanza. La stessa legge elettorale per l'elezione dei sindaci è l'unica che funziona davvero.
Ripartiamo da qui, perché è troppo presto per smettere di sperare.
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