martedì 14 maggio 2013

C'era una volta il calcio

È di questi giorni la notizia del probabile trasferimento del fortissimo attaccante dell'Atletico Madrid, Radamel Falcao, al Monaco, squadra neopromossa nella League 1 francese.
Il proprietario del Monaco è il miliardario russo Ryboblev, spericolato tycoon che, dopo il crollo del regime comunista, ha accumulato ricchezze dividendosi tra aziende di fertilizzanti e finanza "creativa", a cavallo dei continenti.
Il punto dolente, per noi amanti un po' retrò del calcio delle rabone, delle rovesciate alla Djorkaeff, di Beckenbauer con il braccio rotto e di punizioni "a foglia morta", è che questi miliardari stanno deturpando qualsiasi magia romantica da questo gioco.
Il calcio è letteratura, è racconto, è vicenda personale inserita in un contesto gladiatorio. Se si è ritagliato uno spazio enorme tra le passioni sempiterne di uomini (soprattutto) e donne del 20° secolo è appunto grazie a questa imprevedibilità, grazie alle elaborazioni tattiche, al mix perfetto di tenacia e fantasia. Perfino poeti che si studiano nei licei come Umberto Saba hanno celebrato la bellezza di questo sport:

Giovani siete, per la madre vivi;
vi porta il vento a sua difesa. V'ama
anche per questo il poeta, dagli altri

diversamente - ugualmente commosso.

Oggi però il calcio sembra divenuto un giocattolo sfizioso nelle mani di annoiati miliardari esotici, che ne stanno facendo un irrazionale collezionismo di figurine da pagare il più possibile. Il moralismo è sempre antipatico, ma la morale è necessaria. Non c'è gusto, non c'è epopea, non c'è dramma né trionfo nei bonifici a mille zeri fatti da questi parvenu del calcio che costruiscono squadre irrazionali, senza competenza, senza logica cameratistica (nello sport ha ancora un senso, si chiama "spogliatoio"). Si attrezzano, libretto degli assegni alla mano, per costruire degli All-Star-Team, più che delle squadre di calcio.
Funamboli, goleador, florilegi di trequartisti. Con grande mestizia per quelli come Ligabue, non c'è più spazio per gli Oriali, e per i Furino e per i Bagni, nelle stanze luccicanti di divi imbalsamati che sono diventate le squadre acquisite da questi plutocrati moderni.
Lo spreco di danaro è obiettivamente riprovevole, sia per quantità che per qualità degli investimenti fatti, e la pazienza di questi investitori è direttamente proporzionale alla loro competenza. Esigono vittorie subito, e al primo anno senza trofei si stufano, a dimostrazione di come il loro fosse soltanto uno sfizio temporaneo.
Lo dimostra l'esonero di Roberto Mancini dal Manchester City: l'uomo che aveva riportato alla vittoria l'anello debole di Manchester dopo 44 anni, con un finale, questo sì, da romanzo epico.

Se il calcio non riacquisterà una minima capacità di raccontare, di inventare emozioni, se non ritroverà credibilità e non saprà riportare sui campi di gioco la potenza illusionistica del gesto atletico puro, così come l'equilibrio tra primedonne e gregari, finirà per implodere, e il mondo sarà un po' più povero di sogni.


È tra i sette e gl'otto tocchi
di tacco che i miei occhi
s'inondano d'amore
per quest'arte senza onore
questa nobiltà di portamento
questo rincorrer senza tempo.
Il naso di Stielike sul caschetto
di Bruno Conti, il dischetto
e il pianto di Baresi,
il 14 di Crujff e il 38 di Dirceu.
Guidone contro Diego(la rivincita di Golia
contro Davide) e giù via
di ricordo in ricordo,
urlo dopo urlo
a gioir d'un nulla rotondo
bello come la trama d'un racconto.

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