Molti della mia generazione hanno iniziato a seguire la politica quando il "public enemy number one" non era più Giulio Andreotti, spodestato dal più televisivo Silvio Berlusconi.
Nel ruolo di Lucifero di turno, a cui tutta la sinistra è da sempre affezionata (diciamo pure che ne rappresenta un alimento primario), Andreotti ha svettato per decenni, impersonando alla perfezione il Divo intorno al quale girava qualsiasi sceneggiatura tragica, qualsiasi thriller geopolitico.
Andreotti è uomo che ha attraversato tutti i grandi misteri d'Italia in silenzio, quando ancora internet non esisteva e tutto era più oscuro, indecifrabile.
"Meglio tirare a campare che tirare le cuoia", diceva. Alla fine però, contrariamente a quanto quasi tutti pensassimo, nella sua misterica malvagità era mortale pure lui, e diciamoci la verità, non è che abbia lasciato di sé grandi rimpianti. Quello che ha lasciato in eredità al futuro che succede alla sua scomparsa è l'andreottismo: un sistema di potere, e di vivere, fatto di compromesso ad ogni costo.
Capace di ricattare il migliore degli amici e di dialogare con il più esacerbato dei nemici, Andreotti ha fatto delle informazioni riservate, dei dossier un' arma di diplomazia di massa. Il suo Archivio (solo in parte, lo sappiamo tutti, ospitato oggi dalla Fondazione Sturzo) rappresentava una minaccia per tutti coloro che dovevano scendere a patti con il sette volte presidente del consiglio.
In una modernità che chiede trasparenza ad ogni costo, nell'epoca dei grandi fratelli che dirigono i movimenti e degli streaming delle consultazioni, Andreotti non avrebbe avuto vita facile. Il suo trono di spade poggiava su dialoghi sottovoce nelle stanze segrete del parlamentarismo; stanze che agli occhi dell'elettore contemporaneo sanno di muffa, di nafta, di incenso. Stanze chiuse da aprire, colloqui a fil di voce, argomenti arcani, leziosi, incomprensibili in un tempo dove vince chi ha più fiato per urlare.
"Meglio tirare a campare che tirare le cuoia", diceva. Alla fine però, contrariamente a quanto quasi tutti pensassimo, nella sua misterica malvagità era mortale pure lui, e diciamoci la verità, non è che abbia lasciato di sé grandi rimpianti. Quello che ha lasciato in eredità al futuro che succede alla sua scomparsa è l'andreottismo: un sistema di potere, e di vivere, fatto di compromesso ad ogni costo.
Capace di ricattare il migliore degli amici e di dialogare con il più esacerbato dei nemici, Andreotti ha fatto delle informazioni riservate, dei dossier un' arma di diplomazia di massa. Il suo Archivio (solo in parte, lo sappiamo tutti, ospitato oggi dalla Fondazione Sturzo) rappresentava una minaccia per tutti coloro che dovevano scendere a patti con il sette volte presidente del consiglio.
In una modernità che chiede trasparenza ad ogni costo, nell'epoca dei grandi fratelli che dirigono i movimenti e degli streaming delle consultazioni, Andreotti non avrebbe avuto vita facile. Il suo trono di spade poggiava su dialoghi sottovoce nelle stanze segrete del parlamentarismo; stanze che agli occhi dell'elettore contemporaneo sanno di muffa, di nafta, di incenso. Stanze chiuse da aprire, colloqui a fil di voce, argomenti arcani, leziosi, incomprensibili in un tempo dove vince chi ha più fiato per urlare.
Ci manca? No, non ci manca.
La sua azione politica durata dieci lustri ha lasciato dietro di sé un progresso della società italiana ma anche un sistema clientelare, lobbistico, uno Stato divenuto longa manus presente costantemente nella vita degli italiani che ha finito per deresponsabilizzarli.
Il suo fil rouge con una Chiesa secolarizzata fino al midollo, usata come mietitrice di consenso elettorale, ha finito per derubare la spiritualità degli italiani: tanti, dopo di lui, hanno iniziato a vedere nella Chiesa un centro di potere, più che un messaggio di Salvezza.
Tra i tanti personaggi scoperti con le mani nel sacco durante Tangentopoli, Andreotti (almeno da quella vicenda) è rimasto fuori. Durante le numerose perquisizioni non è mai stata trovata una lira in più di quelle che regolarmente gli spettavano. Eppure, il Divo Giulio è stato il più ladro tra i ladri: il suo è stato un furto di futuro.
Avesse impegnato tutto l'acume di cui disponeva per fini più servili verso il prossimo che non verso il mantenimento del potere fine a se stesso, è sicuro: adesso staremmo tutti un po' meglio.
La sua azione politica durata dieci lustri ha lasciato dietro di sé un progresso della società italiana ma anche un sistema clientelare, lobbistico, uno Stato divenuto longa manus presente costantemente nella vita degli italiani che ha finito per deresponsabilizzarli.
Il suo fil rouge con una Chiesa secolarizzata fino al midollo, usata come mietitrice di consenso elettorale, ha finito per derubare la spiritualità degli italiani: tanti, dopo di lui, hanno iniziato a vedere nella Chiesa un centro di potere, più che un messaggio di Salvezza.
Tra i tanti personaggi scoperti con le mani nel sacco durante Tangentopoli, Andreotti (almeno da quella vicenda) è rimasto fuori. Durante le numerose perquisizioni non è mai stata trovata una lira in più di quelle che regolarmente gli spettavano. Eppure, il Divo Giulio è stato il più ladro tra i ladri: il suo è stato un furto di futuro.
Avesse impegnato tutto l'acume di cui disponeva per fini più servili verso il prossimo che non verso il mantenimento del potere fine a se stesso, è sicuro: adesso staremmo tutti un po' meglio.
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