sabato 5 ottobre 2013

Quanto più puoi

Farla non puoi, la vita,
come vorresti? almeno questo tenta
quanto più puoi: non la svilire troppo
nell’assiduo contatto con la gente,
nell’assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarla
così sovente in giro, e con l’esporla
alla dissennatezza quotidiana
di commerci e rapporti,
sin che divenga una straniera uggiosa.

Nella sua traduzione italiana questa poesia s‘intitola “Quanto più puoi”, e ne è autore il poeta greco Costantino KAVAFIS.
Come ogni poesia tradotta in altra lingua molta delle bellezza viene diluita, anestetizzata da una perdita di musicalità che tuttavia non vede smarrito il senso intimo del componimento.
Una poesia profonda, che parla di vita e di come la vita andrebbe vissuta, preservata, tenuta lontano da tutto ciò che la fa cadere in quell’ andirivieni impersonale e ultra-veloce tipico della modernità che le toglie significato e autenticità.
Questa poesia invita, senza dirlo esplicitamente, a ricercare un senso all’ esistenza altrove da quello che la normalità quotidiana ci spinge a fare, ovvero nelle emozioni, quelle vere quelle forti, che nascono nell’ intimo di ognuno. Questa poesia invita a rifondare il rapporto con l’altro su basi più autenticamente umane, e per “umano” Kavafis intende e definisce la sfera dei pensieri, dei sentimenti, delle passioni e del loro intrecciarsi fecondo.
Costretto a una vita appartata, semi-clandestina dai pregiudizi dell'epoca nei confronti dei suoi temi troppo d'avanguardia, finì egli stesso per chiudersi in una solitudine farcita di autocensura, di sensi di colpa per un'omosessualità vissuta in maniera travagliata.
Passioni anche forti, infuocate talvolta, come quelle descritte in tante altre poesie, in cui loda la carne, loda i sospiri, i contatti e le parole d’amore, come ad esempio in “Torna”:

Torna sovente e prendimi,
palpito amato, allora torna e prendimi,
che si ridesta viva la memoria
del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,
allora che le labbra ricordano,e le carni,
e nelle mani un senso tattile si riaccende.
Torna sovente e prendimi, la notte,
allora che le labbra ricordano, e le carni…

Una sensualità intensa, quella di Kavafis, che in alcune liriche esplicita in altre cela tra i versi, tra i giochi di parole, alternando questa passionalità più carnale ad una più propriamente culturale e filologica per i classici Greci, amati con tutto se stesso.
Echi di nostalgie ellenistiche si mixano ad un cosmopolitismo che va a plasmare nei suoi versi tradizione e contemporaneità: i genitori, greci, erano tuttavia originari di Istanbul, ma lo diedero alla luce ad Alessandria d’Egitto; trascorse però parte della sua gioventù a Londra, prima di tornare a Istanbul e poi ad Alessandria. Nella sua cultura, piuttosto autodidatta, si ritrovano echi del decadentismo, ma la sua scrittura mantiene senza dubbio un’originalità e una musicalità tipica dell’Europa sud-orientale.
Pur nella triste tragicità di una solitudine vissuta amaramente, le parole di Kavafis hanno il potere di donare al lettore speranza e consolazione. Nella capacità di rintracciare la Bellezza in ogni sua forma e tempo, nel saperla cogliere, condividere e diffondere, sta infatti la possibilità del riscatto della nostra epoca ingrigita.

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese -
dorate, calde e vivide.

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