come
vorresti? almeno questo tenta
quanto
più puoi: non la svilire troppo
nell’assiduo
contatto con la gente,
nell’assiduo
gestire e nelle ciance.
Non
la svilire a furia di recarla
così
sovente in giro, e con l’esporla
alla
dissennatezza quotidiana
di
commerci e rapporti,
sin
che divenga una straniera uggiosa.
Nella
sua traduzione italiana questa poesia s‘intitola “Quanto più puoi”,
e ne è autore il poeta greco Costantino
KAVAFIS.
Come
ogni poesia tradotta in altra lingua molta delle bellezza viene
diluita, anestetizzata da una perdita di musicalità che tuttavia non
vede smarrito il senso intimo del componimento.
Una
poesia profonda, che parla di vita e di come la vita andrebbe
vissuta, preservata, tenuta lontano da tutto ciò che la fa cadere in
quell’ andirivieni impersonale e ultra-veloce tipico della
modernità che le toglie significato e autenticità.
Questa
poesia invita, senza dirlo esplicitamente, a ricercare un senso all’
esistenza altrove da quello che la normalità quotidiana ci spinge a
fare, ovvero nelle emozioni, quelle vere quelle forti, che nascono
nell’ intimo di ognuno. Questa poesia invita a rifondare il
rapporto con l’altro su basi più autenticamente umane, e per
“umano” Kavafis intende e definisce la sfera dei pensieri, dei
sentimenti, delle passioni e del loro intrecciarsi fecondo.
Costretto
a una vita appartata, semi-clandestina dai pregiudizi dell'epoca nei
confronti dei suoi temi troppo d'avanguardia, finì egli stesso per
chiudersi in una solitudine farcita di autocensura, di sensi di colpa
per un'omosessualità vissuta in maniera travagliata.
Passioni
anche forti, infuocate talvolta, come quelle descritte in tante altre
poesie, in cui loda la carne, loda i sospiri, i contatti e le parole
d’amore, come ad esempio in “Torna”:
Torna
sovente e prendimi,
palpito
amato, allora torna e prendimi,
che
si ridesta viva la memoria
del
corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,
allora
che le labbra ricordano,e le carni,
e
nelle mani un senso tattile si riaccende.
Torna
sovente e prendimi, la notte,
allora
che le labbra ricordano, e le carni…
Una
sensualità intensa, quella di Kavafis, che in alcune liriche
esplicita in altre cela tra i versi, tra i giochi di parole,
alternando questa passionalità più carnale ad una più propriamente
culturale e filologica per i classici Greci, amati con tutto se
stesso.
Echi
di nostalgie ellenistiche si mixano ad un cosmopolitismo che va a
plasmare nei suoi versi tradizione e contemporaneità: i genitori,
greci, erano tuttavia originari di Istanbul, ma lo diedero alla luce
ad Alessandria d’Egitto; trascorse però parte della sua gioventù
a Londra, prima di tornare a Istanbul e poi ad Alessandria. Nella sua
cultura, piuttosto autodidatta, si ritrovano echi del decadentismo,
ma la sua scrittura mantiene senza dubbio un’originalità e una
musicalità tipica dell’Europa sud-orientale.
Pur
nella triste tragicità di una solitudine vissuta amaramente, le
parole di Kavafis hanno il potere di donare al lettore speranza e
consolazione. Nella capacità di rintracciare la Bellezza in ogni sua
forma e tempo, nel saperla cogliere, condividere e diffondere, sta
infatti la possibilità del riscatto della nostra epoca ingrigita.
Stanno
i giorni futuri innanzi a noi
come
una fila di candele accese -
dorate, calde e vivide.
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