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Dunque ci siamo.
L'uomo del fare (l'ennesimo), l'uomo dalla "smisurata ambizione", il volto Pop di una sinistra talmente nuova da non esistere più ce l'ha fatta: è arrivato al traguardo.
Da ogni parte si sollevano proteste, critiche, sberleffi su un'incoerenza mastodontica, che spiazza e lascia l'amaro in bocca anche a coloro che hanno sempre sostenuto il sindaco di Firenze. É inevitabile per uno che ha edificato tutta la propria carriera politica sul consenso popolare, che ha fatto della vocazione maggioritaria un suo tratto distintivo, ma che poi si ritrova a percorrere l'ultimo chilometro della sua maratona sfruttando mezzi non suoi, non facendo affidamento esclusivo sulle proprie gambe, il proprio cuore, il proprio agonismo.
L'istinto di affibbiargli epiteti quali "traditore", "bugiardo", "arrivista" sorge sia nei più acerrimi detrattori che nei più accorati sostenitori.
I fatti della politica però vanno sempre analizzati con la massima razionalità possibile, altrimenti si rischia soltanto di incappare in banalizzazioni fini a se stesse.
L'urgenza, l'ossessione di Renzi sono le riforme, il cambiamento, concetti sui quali ha investito tutto il proprio capitale elettorale. Una volta trovato l'accordo con parte delle forze parlamentari per queste riforme, Renzi ha dovuto prendere atto che i tempi della traduzione in atti e fatti della sua volontà sarebbero stati lunghi e il percorso molto rischioso. I partiti più piccoli, compattamente, ma anche parti della minoranza del PD si sono mostrate apertamente ostili alle Riforme proposte, specie per quanto concerne l'abolizione del senato.
I rilievi del Presidente della Repubblica poi, che hanno costretto all'innalzamento della soglia minima per ottenere il premio di maggioranza al 37%, hanno probabilmente portato a maturare una nuova consapevolezza: che una maggioranza vera, compatta, armonica del PD in grado di garantire la tanto agognata governabilità non ci sarebbe mai stata.
Il governo Letta aveva ormai, a parere quasi unanime, esaurito la propria spinta, limitandosi ad un vivacchiare quotidiano di proclami e buone intenzioni che la situazione economica drammatica non poteva più giustificare.
Detto che quella di Renzi è, seppur nei suoi limiti, l'unica base programmatica, progettuale che abbia ricevuto un apprezzamento popolare (attraverso le primarie), che gode di un consenso abbastanza ampio e trasversale anche tra le forze sociali, come tradurla quindi in azione di governo senza dover attendere anni e anni?
Come evitare il logoramento della persona, delle idee, del consenso?
La strada prediletta dei renziani era ovviamente quella delle elezioni, ma con quale legge elettorale? con quali garanzie di vittoria?
Sulla scia di questi dubbi i collaboratori più stretti del futuro premier hanno iniziato a chiedere al segretario PD di prendere in considerazione l'ipotesi della famigerata "staffetta".
In quel preciso istante, la minoranza ex DS, giunta alla conclusione che il governo Letta non aveva più motivi per andare avanti, ha voluto sfidare il neo-segretario a mostrare di che pasta fosse fatto. Qui entra in gioco l'orgoglio di un Renzi che non aveva più voglia di attendere, di nascondersi.
I nemici di ogni parte politica, convinti che il suo sia soltanto un fuoco fatuo, una stella destinata a spegnersi presto, lo hanno spinto ad una decisione spiegata con il "necessario senso di responsabilità" del segretario del principale partito italiano, ma che in realtà è frutto della sfrontatezza di un giovane politico abituato a giocarsi il tutto per tutto, idiosincratico agli attendismi.
Matteo Renzi adesso si gioca un "all in": per lui non ci saranno seconde possibilità. Ad un rottamatore non si perdona niente. La sua sarà una gara tutta in salita, solitaria, una sfida quasi impossibile da vincere considerando le insidie che gli arriveranno da ogni parte. Avrà contro le opposizioni, avrà contro gli sfascisti di professione, avrà contro i conservatori di lungo corso (la cosiddetta casta), avrà contro anche intellettuali e professori della sofisticazione (dai costituzionalisti à la Zagrebelsky in giù).
Il destino di Renzi però è il destino dell'Italia: l'ultima possibilità di rilancio, di rimonta, di crescita.
Alternative non ce ne sono: ancora una volta, tocca turarsi il naso e sperare. Remare contro la sua voglia di cambiamento significa remare contro il futuro di questo paese; spegnere la sua ambizione, oggi, significa spegnere l'ambizione di un paese stanco, che ha energie solo per un ultimo scatto in avanti, prima di sedersi per sempre.