Le rumina, le mastica, le sputa fino a renderle disgustose.
Parole splendide, storiche, eroiche divengono poltiglia quando iniziano a camminare sui binari della comunicazione elettorale, fino a venirne squartate nel loro significato profondo.
Parole come riformismo risultano oggi ributtanti, come coccarde troppo sgualcite che tutti, ma proprio tutti si sono apposti sulle giacche fino a farne una stucchevole insignificanza.
Si dichiara Riformista Monti, che accusa la sinistra di essere conservatrice, perché vuole "liberare" il mondo del lavoro, ma la sinistra PD, SEL e i sindacati a loro volta si dichiarano riformatori perché vogliono sovvertire le ultime riforme del lavoro riportando ai lavoratori maggiori diritti, e marchiando quindi Monti come un liberista reazionario.
Si dichiara Riformista Monti, che accusa la sinistra di essere conservatrice, perché vuole "liberare" il mondo del lavoro, ma la sinistra PD, SEL e i sindacati a loro volta si dichiarano riformatori perché vogliono sovvertire le ultime riforme del lavoro riportando ai lavoratori maggiori diritti, e marchiando quindi Monti come un liberista reazionario.
Prendiamo poi una parola come civico. Adesso è il must delle mode linguistico-politiche: si passa da "Rivoluzione Civile" di Ingroia a "scelta civica" di Monti. Tutti vogliono candidare personalità provenienti dalla società civile, come se nella società civile italiana non si annidassero nefandezze almeno pari a quelle delle aule parlamentari. Tutti che corrono dietro questa nuovo trend, come fosse l'ultima scarpa di moda o il profumo del momento, dimostrando una schiavitù nei confronti della massificazione linguistica che racconta in realtà una massificazione filosofica.
Pensiamo ai Moderati. Si dichiarano moderati La Russa, Berlusconi, Casini, Fioroni. Gianpiero Samorì, un emerito sconosciuto, ha creato un movimento denominandolo Moderati in Rivoluzione portando degli anziani prelevati negli ospizi alle sue convention. Dichiararsi "moderato" oggi equivale quasi ad un ammissione di colpa.
Ormai circolano solo poche parole che rappresentano pochi, semplici concetti, utilizzati da tutte le fazioni allo stesso modo senza alcuna distinzione.
Ormai circolano solo poche parole che rappresentano pochi, semplici concetti, utilizzati da tutte le fazioni allo stesso modo senza alcuna distinzione.
Le parole della politica sono consunte, desolate, intristite. Parli di detassazione e ti senti bugiardo. Parli di federalismo e ti senti ridicolo. Parli di etica e ti senti retorico. La politica si è mangiata tutte queste parole, ne ha succhiato via ogni valore.
Dietro una comunicazione banale c'è una politica banale: chi utilizza formule precostituite rinunciando a innovare il dialogo con i propri lettori, statene certi, ha probabilmente ben poco da proporre.
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