mercoledì 27 febbraio 2013

Grillismi


Sono arrivati i "grillini".
Una deflagrazione di insulti ha in breve tempo obnubilato qualsiasi battaglia, qualsiasi conquista: per questi nuovi barbari del diritto nessun diritto, nessun progresso è ascrivibile alla politica. In quanto antipolitici non conoscono la storia della politica, che confondono e limitano ai casi famosi, mediatici (purché frequenti) di infelice cronaca giudiziaria.
Questi figli della grettezza contemporanea sono vittime dell'assenza di memoria, vivono nell'eccitazione di un presente che sperano esploda in un futuro a metà tra il semi-totalitario e il rivoluzionario.
Vivono una masturbazione collettiva costante, da setta allargata, che si sublima in milioni di commenti con i quali impregnano blog e siti vari. Come kamikaze si avventano su qualsiasi idea, pensiero, tradizione avversa ridicolizzando, riducendo qualsiasi slancio filosofico a qualche miserrimo infortunio giudiziario dell'inquisito di turno. Confondono il socialismo con Craxi dimenticando Pertini, confondono le battaglie per i diritti dei lavoratori con la fondazione dei Monte dei Paschi.
Della faziosità e delle generalizzazioni non abbiamo bisogno, e ne abbiamo abbastanza.
A questa nuova classe dirigente espressa dal voto del 24-25 febbraio tocca l'onere e l'onore di salvaguardare non solo l'onorabilità della politica, ma anche quella degli ideali, salvaguardare romanticamente la memoria dei grandi principi. Compito non facile ma neppure impossibile. E allora, questa nuova classe dirigente espressa in particolare dalle Primarie del PD deve lottare punto su punto, mostrarsi inattaccabile, anticipare sul piano del rinnovamento questi parvenu della politica.
Il programma del M5S è estremamente limitato, e benché contenga istanze che vanno capite e appoggiate, basa le sue fortune su pochi, semplici battaglie "anti-casta", come le definiscono loro.
Un breve governo tecnico cambi la legge elettorale, riduca drasticamente i finanziamenti ai partiti, abbatta i compensi dei parlamentari, metta in atto una spending review seria (auto blu, pensioni d'oro, ecc.) e la condivida giorno dopo giorno sugli organi di informazione. Disinnescherebbe il M5S in sei mesi, riducendone possibilità di crescita.
Questo chiediamo alla nuova classe dirigente espressa dalle Primarie: abbattere i privilegi per salvaguardare la memoria

lunedì 25 febbraio 2013

Non è un paese di sinistra.

L' analisi di questo voto, per la quantità e varietà di temi che propone, richiederebbe spazi non adeguati ad un blog. Sono identificabili però alcuni concetti base di maggiore rilevanza rispetto ad altri.


1) Un paese destrorso.
Sarebbe utile per tutti, una volta per sempre, convenire che l'Italia è un paese tendenzialmente di destra, nel quale un partito o una coalizione definibile tout court di sinistra non ha mai vinto pienamente ed autonomamente. Si è liberi di presentarsi, e di votare, inseguendo i propri ideali, non scendere a compromessi, e tutte queste belle cose. Se però si vuole cambiare qualcosa, incidere nella vita reale dei cittadini, occorre vincere, e per vincere è vietato identificarsi troppo a sinistra.
2) Nonpervenuta sinistra.
Quanto sopra è rafforzato e dimostrato dal risultato elettorale della sinistra post-comunista: addirittura sotto il 6%! Vendola ha perso consenso ovunque non riuscendo a tenere neppure in Puglia, Rivoluzione Civile, nel quale sono confluiti Rifondazione comunista e altri partitini post-comunisti, ha ottenuto, anche in regioni tattiche come la Sicilia un risultato miserrimo.
3) I giudici devono fare i giudici.
La costante commistione tra giustizia e politica, con la discesa in campo di noti magistrati, ha finito per fornire argomenti a Berlusconi nell'indicare la magistratura come di parte e quindi annacquare l'incidenza delle sue pendenze legali. Il risultato del partito giustizialista, incarnato da Ingroia, Di Pietro e De Magistris, è enormemente deludente.
4) Centro di gravità decadente.
Fini e Casini si erano proposti come nuovo centro, elevandosi a stampelle elettorali dell'ex premier Monti. Ebbene, i due si sono letteralmente autorottamati, ottenendo risultati infimi per quanto riguarda Casini, mentre per Fini siamo all'estinzione vera e propria. A loro si era aggiunto l'illuminato Luca Cordero di Montezemolo, la cui capacità di incidere nel paese, nonostante i toni da paladino del cambiamento che si era auto-conferito, sono a dir poco imbarazzanti. Quanto a Monti, la sua discesa (negli inferi della politica, altro che "salita"!) è stato un errore di valutazione, dovuto al coraggio di non voler campare di rendita. A Lui non imputiamo niente se non il fatto di non essere in alcun modo tagliato per la competizione elettorale, e di essere un mero  e freddo economista/tecnico che può soltanto limitarsi a fare quel tipo di lavoro.
In sostanza, dalle urne esce una sentenza piuttosto chiaro: il Centro non esiste più.
5) Il Partito di Tafazzi.
La sindrome di Tafazzi definisce fin dalla sua nascita il PD. Le scelte sbagliate si sono susseguite negli anni. La chiusura a riccio del partito nei confronti dell'elettorato che non sia tradizionalmente il proprio è la vera causa della debacle di questa tornata elettorale. Trattasi di debacle in quanto a seguito delle primarie il PD aveva raggiunto un vantaggio elettorale straordinario, dilapidato in una campagna elettorale del tutto nefasta: ammicchi continui a Monti con Vendola sempre pronto a contestarlo, facendo tornare alla memoria di tutti lo spettro del governo Prodi; presenza televisiva di scarso impatto; poche idee e progetti presentati con ancora minor verve e convinzione.
Il patrimonio di fiducia ottenuto con le primarie è stato gettato al vento avendo deciso di puntare tutto sulla linea programmatica dei cosiddetti "Giovani Turchi" (Fassina, Orfini, ecc.): posizione del tutto minoritaria nel paese. Inoltre, sia la questione Monte dei Paschi, sia il ritorno di Berlusconi che l'avanzata di Grillo non sono state fronteggiate adeguatamente per un solo ed unico motivo: una classe dirigente, e soprattutto un segretario, identificato dal paese come facente parte della vecchia partitocrazia. Inutile negare che un candidato giovane e non identificabile nella vecchia nomenclatura avrebbe avuto vita molto più facile nel contrapporsi ed anzi sfruttare a proprio vantaggio queste questioni.

E adesso?
L'Italia ha una sola possibilità per uscire dal pantano: un breve governo tecnico che gestisca l'ordinaria amministrazione e sia in grado di imporre una nuova legge elettorale per andare nuovamente al voto con schieramenti rinnovati. Altre strade non ce ne sono.

venerdì 22 febbraio 2013

Al #Voto.

Ritrovarsi ad un passo dal voto e scoprirsi, per la prima volta, demotivati.
No, non perché l'anti-politica abbia davvero vinto. Non perché non ci siano spunti per poter esprimere attraverso la preferenza elettorale un giudizio critico e attento.
Il problema è un altro: si chiama SPERANZA.
Questa è la vera problematica emersa da questa tornata di campagna elettorale.


La pochezza programmatica si è accompagnata ad una totale mancanza di speranza: nessuno è stato in grado di accedere un sogno, di risvegliare un minimo di ottimismo.
Non abbiamo un Obama in cui riporre lo sguardo verso il futuro, e ci siamo dovuti accontentare di una misera partita a poker fatta di miseri rilanci su Imu e Irpef, o di prospettive di alleanze a brevissimo termine tra posizioni post-ideologiche inconciliabili (Vendola/Monti).
A ben vedere l'unica novità di questa tornata è proprio quel movimento 5 stelle che in maniera populistica, vana, arbitraria ha comunque proposto una promessa di rinnovamento. Purtroppo questa promessa di cambiamento è fine a se stessa, è distruttiva anziché costruttiva, non è supportata da personalità capaci di inserirsi e incidere nelle maglie del quotidiano lavoro parlamentare, però ha comunque rappresentato la volontà di chiudere con gli errori del passato e voltare pagina, e in questo verrà premiata.
Abbiamo vissuto una campagna all'insegna del personalismo, nel quale abbiamo ascoltato quasi unicamente esprimersi i portabandiera dei singoli schieramenti. Anche questo è un aspetto fortemente negativo: chi segue con cura la politica sa che i provvedimenti, i progetti, tutto ciò che può migliorare la vita dei cittadini necessita di persone qualificate nei più svariati settori, che lavorino nelle commissioni, nelle aule parlamentari; persone che sappiano redigere un decreto o un disegno di legge trattando con posizioni anche diverse per giungere a dei compromessi. Occorre una classe dirigente preparata per guidare e cambiare un paese, e certo non la si può selezionare cliccando su un video di un minuto su youtube.

Il PD, inutile negarselo, è l'unico partito in grado di portare avanti il fardello pesante della governabilità del paese. Un partito di massa che grazie alle Primarie prima e alle "Parlamentarie" poi ha cambiato faccia, ha iniziato un rinnovamento dei propri "quadri" che altrove è ancora lontanissimo.
Per questo dico che, come puntualizzerebbe Montanelli, occorre "turarsi il naso e votare" PD: non perché sia il partito in grado di riaccendere la speranza (almeno per adesso), non perché rappresenti una certezza di rinnovamento, ma perché, tra tutti i giocatori in lizza, è il Meno Peggio, ed è l'unico che garantisce numeri e mezzi per evitare l'anarchia.

sabato 16 febbraio 2013

I nuovi democratici.

In Italia non esiste ancora una vera e propria classe dirigente di profonde, reali ispirazioni democratiche. Non esiste perché non abbiamo una cultura politica democratica di lungo corso, ma abbiamo soltanto dei "parvenu" del pensiero autenticamente democratico : il PD stesso è composto in larga parte da ex comunisti, ex democristiani, ex di qualsiasi cosa.


L'impressione è che un forte partito democratico, con anime progressiste, riformiste, liberal, potrà davvero dirsi tale soltanto quando il ricambio generazionale sarà esaurito completamente, eliminando reminiscenze post-ideologiche di ogni genere.
Seppur con molti difetti, eccessi di spettacolarizzazione, tematiche a volte troppo ristrette alla sfera economica, la politica americana non potrà non essere il punto di riferimento per una riforma elettorale e della vita politica nel suo complesso. La semplificazione che deriva da un sistema elettorale come quello statunitense permette una maggiore stabilità, quindi maggiore governabilità, un migliore controllo delle candidature attraverso accese e combattute primarie, e soprattutto una partecipazione attiva che può anche essere veicolo di maggiore coscienza civica.
In questo senso per le nuove generazioni di dirigenti politici nostrani (penso soprattutto a Renzi e ai deputati a lui collegati) questa riforma dovrà essere la principale battaglia da affrontare in parlamento già dalla prossima legislatura.
Solo una nuova classe dirigenziale di 30-40enni, autenticamente democratica, cresciuta con studi, esperienze, idee, passioni altre rispetto a quelle dei vecchi partiti post-ideologici potrà realmente trasformare e modernizzare questo paese, rendendolo competitivo ed efficiente.
Due esempi su tutti sono i temi dell' information technology e della green economy: due temi del tutto assenti nelle coscienze dei vecchi funzionari PCI o DC, ma vere e proprie icone per i dirigenti di nuova generazione.
Il futuro è una tela vuota che noi dobbiamo iniziare a dipingere: non lasciamo che siano altri (sempre gli stessi) a scegliere i colori...

sabato 9 febbraio 2013

Libertas


Eterogenesi delle Libertà: in Italia questa parola è divenuta nel corso degli anni cardine di molti progetti politici, eppure (o forse proprio per questo eccesso d'uso) questa parola, questo concetto, questa elaborazione filosofica sembra ormai un contenitore vuoto dentro il quale si può gettare praticamente di tutto.
Abbiamo, nella storia politica più o meno recente, un tale, multiforme groviglio di ideologie /  movimenti / partiti ispirati a questa nobile idea che si fa fatica a districarcisi.



- Libertas democristiana: una libertà che più parziale non si può; una libertà minimale, quasi invisibile, impercettibile: uno Stato invadente, diritti parziali, un'influenza esterna (porporata) costante. "Addostà 'sta libertà", verrebbe da dire?

- Liberismo sfrenato: va a contraddire la base del liberalismo classico (J.S.Mill, J.Bentham), ovvero l'uguaglianza del punto di partenza; si legge liberismo ma in realtà si tratta di egoismo...è l'imperio delle classi abbienti sul resto del mondo, il silenziamento violento di qualsiasi sentimento di fratellanza. In più, questo liberismo sbandierato ai quattro venti (ad esempio, in Italia, dal PDL) viene immediatamente sovvertito qualora si vadano a toccare gli interessi della propria categoria professionale di appartenenza: in tal caso i sedicenti portabandiera del liberismo si travestono in fretta da difensori di un corporativismo che è la perfetta negazione del liberismo. La concorrenza, questa sconosciuta.

- Libertà progressiste: libertà diffuse tradotte in diritti civili per le minoranze, anche in termini sessuali, alle quali corrisponde poi una visione di politica economica restrittiva, impregnata di interventi dello stato e che va costantemente a devastare qualsiasi emergere del merito individuale. Hasta la CGIL, siempre!

Il consiglio è dunque di diffidare del brand commercial-politico Libertà: non perché non sia il più nobile dei  principi, ma perché non fa parte della nostra cultura di italioti sempre un po' troppo furbetti, opportunisti e faziosi per reggere il peso, irresistibilmente leggero, della libertà vera, coerente, totale.


domenica 3 febbraio 2013

Delusioni

La delusione che si prova in questa campagna elettorale è feroce.
Il motivo è presto detto: pur con i loro piccoli-grandi difetti, Bersani e il PD e Monti con il suo nuovo Centro parevano poter affrancare questo paese dall'incubo del berlusconismo che ha devastato il paese negli ultimi 20 anni.
Ritrovarsi adesso il PDL lontanto 5-6 punti dal PD in tutti i sondaggi non rappresenta tanto il rischio di un nuovo governo Berlusconi ma il venir meno di una stagione di pulizia, di serietà e di rinnovamento che prima con il governo Monti poi con il momento della Primarie sembra aver preso campo a tutti i livelli.
Purtroppo, ad oggi ci ritroviamo invece con un Monti affiancato a Casini e Fini, due residuati della peggior partitocrazia, Bersani invischiato in vecchie beghe di lottizzazioni bancarie, e Berlusconi sempre lì con le solite filastrocche contro le tasse, la Germania e l'euro.
Due sono i fatti da sottolineare: 
- la sconfitta di Renzi alle primarie ha indubbiamente rimesso in moto e ridato vigore a tutta quella vecchia politica che ormai sembrava ad un passo dall'essere realmente rottamabile. Al di là di qualsiasi giudizio sulle capacità del sindaco di Firenze, è lo spirito di cambiamento, di rinnovamento generazionale che si è interrotto il 2 Dicembre. Se si paragona il livello del dibattito delle primarie a questa campagna elettorale sono evidentissimi i passi indietro.
- Quello che il paese sembrava aver colto, ovvero la necessità di superare il berlusconismo come sistema di pensiero, come spirito (anti)civico, come modellamento della politica sui propri interessi personali è drammaticamente venuto meno. La magistratura torna ad essere di parte (e dunque nessuno crede più che possa esserci giustizia, a nessun livello), pagare le tasse torna ad essere un optional (perché le tasse sono ingiuste), la moralità pubblica e privata torna ad essere di secondaria importanza (farsi vedere in pubblico con una 25enne prezzolata è cosa normale).
Ancora una volta l'Italia torna ad essere un paese  immaturo, superficiale, frivolo, e torna ad esserlo perché le forze più sane e decorose hanno perso la loro battaglia non riuscendo a prendere in mano la leadership del paese.