domenica 31 marzo 2013

Regali di Pasqua

Che la gestione della crisi politica fosse complicata lo avevamo capito già dai risultati che emergevano dalle prime proiezioni ufficiali in quel 25 Febbraio ormai fatidico.
Da subito era emersa la necessità di tornare al voto quanto prima, ma come sappiamo questo non è stato possibile.
Non si può rimproverare molto nè a Bersani nè a Napolitano in termini di impegno e disponibilità: si trattava di una battaglia già persa in partenza ma hanno avuto la ferrea volontà di combatterla fino in fondo.
Quello che si può rimproverare ad entrambi è il non aver saputo interpretare il messaggio che esce dalle urne e da tutta la società: non c'è più spazio per accordi, inciuci, compromessi che diano l'impressione di essere un mero salvacondotto per la sopravvienza dei partiti e dei loro interessi. Il corpo elettorale, in anticipo rispetto alle direzioni dei partiti, ha compreso che siamo schiavi di un sistema superato, arcaico, da abbattere più che da riformare.
Sono tempi in cui i bizantinismi giurisprudenziali non pagano: occorrono idee e  metodi chiari, diretti, semplici, ad esempio un sistema maggioritario all'americana, per il quale in passato abbiamo tra l'altro votato in occasione del Referendum Radicale del 1993.
Tornando a Bersani, aveva certamente tutte le migliori intenzioni, avrebbe presumibilmente proseguito un percoso di rinnovamento in parte già avviato con l'operazione "parlamentarie", e con l'elezione di Grasso e Boldrini alla presidenza delle camere.
Però il suo debole carisma, il suo identikit da post-comunista figlio dell'apparato sinistrorso non gli consentiva spazi di dialogo e accordo con le altre forze protagoniste nel nuovo parlamento. Questo era palese. Con un po' di coraggio ed umiltà si potevano evitare i tempi morti delle consultazioni.
Quanto a Napolitano, l'idea dei 10 saggi certifica ancora una volta la lucidità, l'estro, l'esperienza di un Presidente democratico ma risoluto: la sua idea però è figlia di quella volontà di compromesso tra le parti che come detto è attualmente del tutto invisa al paese. Dal momento che le fazioni solo molto distanti tra loro sul piano dei contenuti e su quello degli interessi, ci sono fondati dubbi sui risultati che queste due commissioni potranno ottenere, se non quello di dare ulteriore fiato alle ululanti invettive degli sfascisti di professione.

sabato 23 marzo 2013

Precarietà

Viviamo in un' epoca di precarietà esistenziale come mai ne avevamo viste prima.
La precarietà professionale in particolare è divenuta una vera e propria piaga sociale, della quale paghiamo pegno tutti, perché quasi tutti noi abbiamo un familiare, un parente, un amico in questa condizione. Tutta l'economia risente del minor accesso al consumo di una fetta sempre più larga di società, e questo crea un loop catastrofico specie per il terziario (ma non solo).
Ciò di cui abbiamo necessità, in questa situazione, è un governo stabile, stabilissimo, una maggioranza forte in grado di elaborare un piano industriale almeno quinquennale in grado di investire in settori produttivi e innovativi che diano nuovo slancio all'industria e all'artigianato italiano. Abbiamo necessità di spostare capitali statali importanti sulla ricerca, sull'intelligenza, sulla creatività per aprirci nuove frontiere, nuove opportunità, nuovi mercati finora inesplorati.
Abbiamo bisogno di idee, di credere in queste idee e di persone credibili che siano in grado di imporre queste idee senza doverle costantemente ridiscutere e porre sotto fiducia di un parlamento diviso e ostile.
Il governo Bersani è un governo che, se anche dovesse per vie traverse, grazie a opportunismi e tatticismi trasversali, vedere la luce, nascerebbe precario come nessun altro governo prima. Per questo penso che sia preferibile per il bene di tutti andare quanto prima al voto.
L'architettura costituzionale, lo sappiamo bene, non lo permette adesso, i tempi non possono essere brevissimi, occorrerà a meno di miracoli attendere fino ad Ottobre. Questo lasso temporale può essere sufficiente per ricostruire almeno un sistema elettorale dignitoso per un paese occidentale del XXI° secolo, dopodiché urge andare a ricercare nel corpo elettorale un mandato che tenti di attutire questo senso di precarietà istituzionale, economica, esistenziale che affligge questi anni.

domenica 17 marzo 2013

Eppur si muove!


Sì, ieri il PD ha finalmente dato segni di vita.
Schiavo della caricatura da zombie che ne ha diffuso Grillo in questi mesi, lo smacchiatore mancato ha finalmente mosso una pedina sulla scacchiera, e per poco non fa scacco matto.


...Poi però si va ad approfondire, e ci si accorge che i candidati della segreteria erano Franceschini e Finocchiaro, e l'idea dei due nomi vincenti non è venuta in alcun modo dal suo entourage.
La vicenda dell'elezione dei presidenti delle due camere è quanto mai emblematica di ciò che ormai è chiaro da mesi: è assolutamente necessario un ricambio generazionale nella classe dirigente.
A Bersani va ancora riconosciuto il merito (l'unico) di aver saputo, alla fine, ascoltare e riconoscere le richieste di cambiamento che gli venivano dalla parte migliore del nuovo PD: in particolare, l'idea di Grasso ha il copyright di Pippo Civati. Questa è la vera novità della politica italiana, oggi: abbiamo scoperto di avere non soltanto un front runner in grado di aggregare consenso in maniera forse maggioritaria come Matteo Renzi, abbiamo anche una serie di neo-deputati quasi-40enni pronti a divenire classe dirigente del più importante partito di massa italiano.
Indubbiamente l'istanza radicale di cambiamento portata dal M5S e da Grillo hanno rafforzato le posizioni di tutti coloro che all'interno del PD chiedono rinnovamento di idee, di atteggiamento e di persone, tuttavia l'elemento fondamentale della giornata di ieri è che sappiamo di poter contare su un personale politico nuovo, giovane, pulito e preparato sul quale poter riporre le speranze per un futuro elettorale che non sia schiavo della dicotomia "voto-il-meno-peggio" / "voto-chiunque-purché-nuovo".
Un' ulteriore annotazione: nel PDL, dove il rinnovamento non ha avuto alcuno spazio, non hanno saputo fare altro che ripresentare l'impresentabile Schifani: un partito senza idee, senza personalità di ampio respiro, senza né forza né voglia di cambiamento.
Questa disattenzione (parliamo di un partito che convoglia la quasi totalità della proprie energie sulle questioni legali del proprio capo) ha fatto sì che con una mossa brillante si potesse andare a contrapporre e sottoporre agli occhi dei neo-senatori grillini un ballottaggio che non poteva non risvegliare le coscienze, specie per quella truppa di neoeletti siciliani per i quali il tema della lotta alla mafia è fondamentale.
Alla luce di tutto questo, che si riesca a trovare o meno un accordo per la nascita di un governo, possiamo riporre un po' più di speranza nel futuro: c'è un partito, il PD, che sta iniziando, attraverso le nuove leve, a comprendere i segnali provenienti dalla società, ed è in grado finalmente di "leggere" le necessità di un paese che ha un disperato bisogno di riforme profonde.
Di questo abbiamo bisogno: una nuova generazione appassionata e competente che abbia il coraggio della sfida, non la paura di perdere le posizioni di privilegio.
Adda passà 'a nuttata!


venerdì 15 marzo 2013

Il colore dei soldi

Il dibattito sul finanziamento alla politica è oggetto di molte attenzioni da parte dell'opinione pubblica, che mai come in questo periodo però è mossa da un unico sentimento: il risentimento.
Questa indifferenziata sete di vendetta che anima il popolo italiano però potrebbe portare a errori di misura nell'affrontare la riforma di un settore così delicato.
Obiettivo di questa legislatura deve indubbiamente essere una svolta epocale nella concezione dei finanziamenti pubblici alla politica. Come propone da anni il Partito Radicale (quel mattacchione di Pannella ci arriva quasi sempre prima degli altri...) il finanziamento in quanto tale o sotto forma di rimborso va abolito. L'austerità imposta alle tasche dei cittadini non può più prevedere un' elargizione così generosa di denari ai partiti, è fuori discussione; i cittadini poi si sono espressi chiaramente in tal senso nel referendum del '94, e la volontà espressa dal corpo elettorale in un paese democratico andrebbe sempre rispettata.
Tuttavia, il "Fattore-Clìstene" posto da Bersani va preso in considerazione: abbandonare l'iniziativa politica, e la propaganda politica, in mano al solo reperimento di fondi privati può generare la gravissima conseguenza di accentrare la gestione della cosa pubblica in mano a oligarchie, potentati economici, con una rappresentanza parlamentare che potrebbe essere emanazione delle sole classi sociali elevate. Meccanismi di controllo e di aiuto vanno quindi attivati, pur lasciando come nuovo punto fermo del finanziamento della politica il contributo volontario dei cittadini.
La creazione di un organismo di controllo debitamente istruito al quale vadano presentate le spese sostenute e che sia in grado di giudicare ed autorizzare tali spese potrebbe essere una valida soluzione, in grado di abbattere i costi drasticamente ma anche di garantire le iniziative meritevoli e pulite.

Alla comunicazione politica chiediamo però anche di spiegare bene l'incidenza delle riforme che va ad approntare: è bene quindi spiegare che questa particolare forma di "spending review" ha un' incidenza minima rispetto alla gravità del baratro in cui giorno dopo giorno stanno sprofondando i conti pubblici. Brandirla come fosse un' arma letale per abbattere la crisi economica italiana, o come fosse la panacea di tutti i mali è non solo sbagliato, non solo grave, ma anche disonesto.

giovedì 7 marzo 2013

Bicameralismo, chi era costui?


A urne chiuse ci si aspetterebbe che l'opinione pubblica virasse bruscamente verso una discussione proficua sul da farsi immediato. Questo principio vale per quasi tutti i paesi occidentali, non per l'Italia, dove una stampa che fa del gossip la propria linea politico-editoriale focalizza la propria attenzione sul tema vuoto e irrisolvibile delle "alleanze".
Nessuno (o quasi) che si soffermi sui contenuti: questo atteggiamento è di una tristezza infinita.
Dal momento che un sistema bizantino impedisce la governabilità, alla classe dirigente sarebbe richiesto di porre mano velocemente a questa anomalia, perché un sistema di questo tipo è un insulto al valore sacro del voto, in quanto lo rende quasi del tutto inutile.
Alle forze politiche, per uscire dall'impasse, sarebbe richiesto un compromesso con i propri rispettivi egoismi per avviare una legislatura che si concentri sulla razionalizzazione del sistema, che prevede alcune soluzioni del tutto arcaiche e capziose.
Il primo problema di fondo delle istituzioni italiane sul quale pochi hanno posto l'attenzione è la totale inutilità del bicameralismo perfetto, sul quale si fonda il potere legislativo di questo paese. Urge un update, un aggiornamento che traghetti ad una costituzione 2.0. Questo blocco mentale è l'ennesimo lascito drammatico del berlusconismo, che con i suoi continui attacchi alla costituzione ha automaticamente spinto tutto il centrosinistra e le forze riformatrici su posizioni di conservazione estrema dello status quo costituzionale.
Il bisogno di semplicità, la richiesta di democrazia diretta scaturita dalle urne cozzano contro un iter di approvazione di una legge che passa attraverso due analisi e due votazioni simmetriche, e attraverso le forche caudine di dichiarazioni di voto estenuanti quanto fini a se stesse.
Dunque occorre eliminare questo doppio passaggio e conseguentemente limitare drasticamente il numero di parlamentari, con conseguente risparmio sui costi della politica e snellimento dei tempi di approvazione.
Le soluzioni potrebbero prevedere sia un monocameralismo, sia un bicameralismo nel quale una delle due camere sia rappresentanza della società civile (professioni, associazioni dei lavoratori e degli imprenditori, confcommercio, federturismo, ecc., ma anche degli enti locali ovviamente).
Lo stesso principio di chiarezza, semplicità a partecipazione diretta uscito dalle urne andrebbe tradotto in una riforma del sistema elettorale che vada verso il maggioritario, che per coloro che se ne fossero dimenticati è stato votato dagli italiani in un referendum di grande successo nel 1993. Una trasformazione del sistema elettorale dalle varie forme ibride, raccapriccianti a cui siamo obbligati a sottostare ad un sistema all'americana garantirebbe non soltanto maggiore governabilità, ma anche la possibilità di ridurre o del tutto abbattere qualsiasi forma di finanziamento pubblico, infatti la polarizzazione del confronto ridurrebbe a sole 2 o 3 le forze in campo e come automaticamente accaduto altrove incentiverebbe forme di finanziamento o microfinanziamento delle campagne elettorali. Maggiore confronto, maggiore coinvolgimento equivalgono infatti a maggiore partecipazione attiva da parte dell'elettorato, come dimostrato anche dalla campagna di Matteo Renzi durante le primarie che ha raccolto solo attraverso il sistema delle microdonazioni volontarie ben 178.253,00 euro.
L'ultimo, fondamentale input per una serie di riforme che diano nuova credibilità al sistema è quello della legge sul conflitto d'interessi. Si tratta anche in questo caso di un momento di immaturità del sistema italiano causato ancora una volta dai retaggi del berlusconismo. Infatti, si tende a sovrapporre l'idea di conflitto d'interessi con una sorta di punizione nei confronti del fondatore di Mediaset, non comprendendo che i conflitti d'interesse sono diffusissimi e vanno a toccare le banche, le aziende pubbliche, le cariche plurime nei c.d.a. privati, ecc.
Si tratta di una necessità che sta alla base del liberalismo, che garantirebbe maggiore autonomia gestionale e quindi maggiore trasparenza ed efficienza, ed invece in Italia è vissuta unicamente come spirito di vendetta da parte dei nemici del Cavaliere. 
Abbiamo dunque bisogno di riforme urgenti: chiunque non se ne faccia carico, è evidente come abbia maggiormente a cuore il proprio interesse o quello del proprio partito che quello dell'intero paese per questa e le prossime generazioni: diffidiamo di questi personaggi!

sabato 2 marzo 2013

Cerchiobottismi cronici.

Adesso è chiaro: il moderatismo non paga più. Morto, sepolto sotto urne (funerarie) che hanno conclamato al mondo che adesso, in Italia, l'estremismo è mainstream.
Non parliamo di estremismo ideologico, no, quello non è solo defunto, è stato già perfino consumato dai vermi autoprodotti da una partitocrazia che ha fatto harakiri non riuscendo a limitare la propria avidità.
Adesso è il linguaggio, la comunicazione che più è estrema, volgare, gretta tanto più ottiene risultati.
Promesse tanto mirabolanti quanto surreali, insulti, turpiloqui da curva calcistica, tutto ciò è stato premiato da un certo settore del corpo elettorale, inutile negarlo.
Una campagna elettorale come quella condotta dal PD, sottovoce, senza alcuno slancio, ha ottenuto conseguentemente un risultato catastrofico: far passare l'idea di essere il più moderato dei partiti, per certi aspetti il più conservatore, nonostante a partire dalle primarie tanti sostanziali passi avanti fossero stati fatti nel rinnovamento della propria classe dirigente.
L' idea che è stata recepita dall'elettore medio è che il PD fosse il partito del compromesso, in cui si sono fatte primarie per scegliere i candidati, ma poi sono stati lasciati posti sicuri per vecchi personaggi (Bindi, ad es.) senza alcuna credibilità nel paese. Politiche del lavoro elaborate dai "Giovani Turchi", in vaga sintonia con Vendola o Damiano sul tema, ma poi ammiccamenti continui a Monti, che ha idee diametralmente opposte.
La via di mezzo non paga più, il cerchiobottismo è ormai tradotto come il tentativo di mantenere lo status quo senza prendere una strada ben definita verso profonde riforme delle istituzioni.
L'eredità democristiana dell'equidistanza va rifiutata, allontanata, se si vuole sopravvivere nei meandri della politica 2.0. I partiti devono avere una loro fisionomia precisa, unilaterale e possibilmente maggioritaria, nonché affidarsi a leader carismatici in grado di conquistare empaticamente le fette di elettorato (che sono la maggioranza tra l'altro) meno disposte all'elaborazione concettuale.

Piccolo appunto per le prossime elezioni (non così lontane probabilmente): se il paese vuole premiare chi comunica in maniera urlata concetti semplici e aggressivi, ebbene, lo si faccia. Delle sconfitte o finte vittorie in bello stile non sappiamo più cosa farcene: la crisi è gravissima, per una volta si metta da parte lo snobismo intellettuale e si provi a vincere, per poter poi mettere mano alle reali esigenze di una nazione il cui declino pare al momento inarrestabile.