lunedì 27 maggio 2013

Improvvisare stanca

Parafrasando Pavese, si può dire che improvvisare, nella gestione della cosa pubblica, stanca l'elettorato, e anche molto velocemente.
Le elezioni amministrative richiedono personale preparato, affidabile, convincente, e in questa necessità risiedono le motivazioni dell'affermazione del centrosinistra e della disfatta del M5S, che lamenta una clamorosa carenza di personale e di esperienza gestionale. Non si tratta, come ritengono molti, di un difetto di comunicazione, ma di un'assenza di certezze, certezze che invece possono vantare il PD e i suoi  alleati: in Italia l'unica cosa che davvero ha funzionato in questi anni  in termini politici (o ha funzionato un po' meglio) è l'amministrazione locale, come dimostra il gradimento molto alto nei sondaggi di alcuni sindaci.
Per questo motivo il centrosinistra dovrebbe ambire a tradurre in ambito nazionale i buoni risultati ottenuti a livello locale. Non solo portando i nomi più spendibili, ma anche proponendo con forza una riforma complessiva del sistema elettorale (progetto "Il Sindaco d'Italia").
Queste elezioni hanno inoltre dimostrato come la stampa spesso sia lontana dal sentimento popolare, come  insegua frequentemente la notizia morbosa più che la sostanza dei fatti, e finisca spesso per accanirsi sfruttando delle onde polemiche su determinati partiti senza in realtà avere giusta percezione del gradimento dell'elettorato.
Il PD è stato descritto come morto, moribondo, zombie. Eppure...
Presidenza della Repubblica, della camera e del senato. Presidente del consiglio. Sindaco di Milano e probabilmente di Roma. Tutte cariche in quota Centrosinistra, di cui il PD è il maggiore azionista.
La salute del centrosinistra nella configurazione (peraltro in parte già superata) delle ultime elezioni politiche gode di ottima salute. Non che l'occupazione delle cariche equivalga a risultati soddisfacenti a 360°, però certamente chi diagnosticava un imminente fine-vita per la coalizione e in particolare per il PD dovrà cambiare mestiere, o riflettere sulle proprie doti divinatorie.

Dovrà rivedere le proprie ambizioni da (funesto) demiurgo anche l'istrionico Grillo, il quale, oltre ad aver subìto umiliazioni elettorali in regioni importanti, con pochi fronzoli come Friuli e Val D'Aosta, oltre ad aver più che dimezzato il consenso in 3 mesi in una città come Roma dove nutriva ambizioni fortissime, oltre a non poter vantare alcun candidato al ballottaggio nei comuni principali, ha registrato una figuraccia colossale a Siena, dove il centrosinistra è davanti a tutti nonostante il bombardamento polemico quotidiano del M5S sulla vicenda MPS. Inutile negare come il forte appoggio di Renzi al suo candidato abbia giovato ad un'immagine rinnovata e rinnovabile del PD.
Un'ultima nota sull'astensionismo: il problema è serio e va affrontato. Tuttavia, una riflessione può essere fatta.
Confrontando i dati città per città rispetto alle politiche si percepisce ancora una volta come l'importanza di una penetrazione territoriale, sociale, ideologica sia alla base di un' organizzazione politica vincente nel lungo periodo. Sono infatti già venuti meno quei voti estemporanei di protesta che hanno dato grande smalto, alle elezioni politiche, ad un movimento giovane e congiunturale come il M5S, mentre sono stati premiati i partiti con basi solide.
Tutto questo invita un approfondimento dei suggerimenti che l'ex ministro Barca sta cercando di portare nel dibattito sulle nuove forme dell' organizzazione politica, che vanno esattamente nella direzione di un rafforzamento e della valorizzazione della rappresentanza territoriale del partito.

giovedì 23 maggio 2013

#Capaci


Capaci di nascondere verità fino allo stremo delle loro e delle nostre forze.
Capaci di ignorarla, quella voglia di verità dei ventenni palermitani o messinesi o agrigentini, a cui si nega, oltre che il lavoro, anche una storia.
Capaci di infiltrarsi dentro innumerevoli stantie manifestazioni, in cui si onora disonorandola la memoria di quei due eroi di stato.
Capaci di ricostruzioni televisive (talk o freak shows?) in cui si finge di indagare delegando qualsiasi responsabilità allo scomparso più recente.
Capaci di rubare identità e speranza, incentivando il silenzio con la rottamazione della verità.
Capaci di houdiniani illusionismi su agende, trattative, decreti restrittivi che appaiono e scompaiono come bianconigli dal cilindro.
Capaci di ridurre il sogno a sonno, e il coraggio a colpa.

Però lo sanno: sono stati Capaci di uccidere i corpi, ma non di uccidere le anime.

sabato 18 maggio 2013

La favola del Re Matematico

C'era una volta un professore che sapeva fare i conti come nessuno mai nella storia del mondo e per questo era diventato re del suo paese.
Il supermatematico aveva messo in moto i suoi 47 miliardi di neuroni e aveva decretato per decreto che per salvare il suo reame bisognava far pagare tante tasse sulle capanne dei poverelli.
I Reami confinanti fecero tanti complimenti, il Re dei Celti, la Regina dei Nibelunghi, tutti a complimentarsi con il re-matematico.
Tutti però criticavano il re-matematico perché non aveva mai combattuto per guadagnarsi il suo trono, e allora, punto nell'orgoglio, il Re Matematico decise di mettere in palio la sua corona in una battaglia gladiatoria.
Essendo un matematico e non un guerriero, uscì dall'arena dissanguato e mazzolato ben bene.

Alcuni mesi dopo, i guerrieri avevano preso il potere e si trovavano a gestire i bilanci del reame, tutti insieme, e con loro, con un ruolo minore, c'era anche il re matematico. Ostaggi del più forte dei guerrieri, decisero di smettere di far pagare le tasse ai poverelli, perché non serviva a niente.
L'ex Re Matematico allora avrebbe dovuto prendere la parola e, in un moto d'orgoglio, dare qualche consiglio ai guerrieri, spiegare che i conti non potevano tornare. Invece se ne rimase zitto e muto in un angolo, accondiscendente.
A molti poverelli, ma non solo a loro, venne allora il dubbio: se anche i guerrieri possono far tornare i conti, a che minchia era servito un re matematico?

martedì 14 maggio 2013

C'era una volta il calcio

È di questi giorni la notizia del probabile trasferimento del fortissimo attaccante dell'Atletico Madrid, Radamel Falcao, al Monaco, squadra neopromossa nella League 1 francese.
Il proprietario del Monaco è il miliardario russo Ryboblev, spericolato tycoon che, dopo il crollo del regime comunista, ha accumulato ricchezze dividendosi tra aziende di fertilizzanti e finanza "creativa", a cavallo dei continenti.
Il punto dolente, per noi amanti un po' retrò del calcio delle rabone, delle rovesciate alla Djorkaeff, di Beckenbauer con il braccio rotto e di punizioni "a foglia morta", è che questi miliardari stanno deturpando qualsiasi magia romantica da questo gioco.
Il calcio è letteratura, è racconto, è vicenda personale inserita in un contesto gladiatorio. Se si è ritagliato uno spazio enorme tra le passioni sempiterne di uomini (soprattutto) e donne del 20° secolo è appunto grazie a questa imprevedibilità, grazie alle elaborazioni tattiche, al mix perfetto di tenacia e fantasia. Perfino poeti che si studiano nei licei come Umberto Saba hanno celebrato la bellezza di questo sport:

Giovani siete, per la madre vivi;
vi porta il vento a sua difesa. V'ama
anche per questo il poeta, dagli altri

diversamente - ugualmente commosso.

Oggi però il calcio sembra divenuto un giocattolo sfizioso nelle mani di annoiati miliardari esotici, che ne stanno facendo un irrazionale collezionismo di figurine da pagare il più possibile. Il moralismo è sempre antipatico, ma la morale è necessaria. Non c'è gusto, non c'è epopea, non c'è dramma né trionfo nei bonifici a mille zeri fatti da questi parvenu del calcio che costruiscono squadre irrazionali, senza competenza, senza logica cameratistica (nello sport ha ancora un senso, si chiama "spogliatoio"). Si attrezzano, libretto degli assegni alla mano, per costruire degli All-Star-Team, più che delle squadre di calcio.
Funamboli, goleador, florilegi di trequartisti. Con grande mestizia per quelli come Ligabue, non c'è più spazio per gli Oriali, e per i Furino e per i Bagni, nelle stanze luccicanti di divi imbalsamati che sono diventate le squadre acquisite da questi plutocrati moderni.
Lo spreco di danaro è obiettivamente riprovevole, sia per quantità che per qualità degli investimenti fatti, e la pazienza di questi investitori è direttamente proporzionale alla loro competenza. Esigono vittorie subito, e al primo anno senza trofei si stufano, a dimostrazione di come il loro fosse soltanto uno sfizio temporaneo.
Lo dimostra l'esonero di Roberto Mancini dal Manchester City: l'uomo che aveva riportato alla vittoria l'anello debole di Manchester dopo 44 anni, con un finale, questo sì, da romanzo epico.

Se il calcio non riacquisterà una minima capacità di raccontare, di inventare emozioni, se non ritroverà credibilità e non saprà riportare sui campi di gioco la potenza illusionistica del gesto atletico puro, così come l'equilibrio tra primedonne e gregari, finirà per implodere, e il mondo sarà un po' più povero di sogni.


È tra i sette e gl'otto tocchi
di tacco che i miei occhi
s'inondano d'amore
per quest'arte senza onore
questa nobiltà di portamento
questo rincorrer senza tempo.
Il naso di Stielike sul caschetto
di Bruno Conti, il dischetto
e il pianto di Baresi,
il 14 di Crujff e il 38 di Dirceu.
Guidone contro Diego(la rivincita di Golia
contro Davide) e giù via
di ricordo in ricordo,
urlo dopo urlo
a gioir d'un nulla rotondo
bello come la trama d'un racconto.

domenica 12 maggio 2013

Pacificazioni.

Si è conclusa ieri pomeriggio l'assemblea nazionale del PD, durante la quale è stato eletto con maggioranza dell'85% il segretario pro-tempore Guglielmo Epifani. Nessuno ricorda già, a distanza di 24 ore, cosa abbia detto, promesso, spiegato. Le sue parole sono già state risucchiate dal Nulla Eterno.
Di ieri ricorderemo invece l'intervento di Matteo Renzi, un intervento ad ampio respiro, carico, vero, pieno di  vita politica vissuta.

In questi giorni in cui tutti parlano della necessità di pacificazione, ritengo che l'attuale sindaco di Firenze sia l'unico in grado di realizzare questa necessità italiana, in tre diversi ambiti.

1) Pacificazione all'interno del Partito Democratico.
Dopo lo scontro l'incontro. Conclusosi nel peggiore dei modi il fantomatico tentativo di Bersani di realizzare un "governo di cambiamento", oggi molti prendono atto che l'unica vera possibilità di tradurre in pratica l'idea di un rinnovamento passa attraverso nuove elezioni e una nuova leadership, quella di Renzi. Ex Dalemiani, Giovani Turchi, perfino ex bersaniani (il capogruppo Speranza) hanno dichiarato che questa è l'unica reale possibilità per il PD. Il correntismo esasperato non porterà a niente, se c'è una possibilità di tradurre in provvedimenti di legge le idee forti della varie correnti è quella di provare a vincere. E per vincere ci vuole un leader che sappia attrarre voti esterni a quelli tradizionalmente di centrosinistra. Altrimenti, come ha dichiarato appunto Renzi togliendosi qualche sassolino dalle scarpe, per aver rifiutato di voti di destra ci si ritrova con i ministri di destra...

2) Pacificazione tra appartenenze post-ideologiche in guerra da 20 anni.

L'anomalia berlusconiana ha tenuto il paese in ostaggio per lungo tempo. Non si è fatto dibattito politico sui temi, sui programmi, ma sempre e soltanto pro o contro Berlusconi. Questa diatriba costante, ineluttabile ce la siamo trascinata fino allo sfinimento anche su temi fondamentali, come la giustizia. I tribunali italiani non funzionano, sono lenti, i tre gradi di giudizio sono troppi, la burocrazia è avvilente e le risorse sono ridotte al minimo. Non solo, nella Giustizia italiana la parola tecnologia risulta Non Pervenuta. L'assenza di informatizzazione causa spese abnormi, personale in eccesso, tempi inaffrontabili per una qualunque pratica. 
Eppure, quando si parla di giustizia in un dibattito pubblico di cosa si parla? Delle questioni personali dell'ex presidente del consiglio contro questo o quel magistrato di parte. 
Si è cercato, per la necessità di Berlusconi di essere salvaguardato, una pacificazione tra centrodestra e centrosinistra, ma un accordo spartitorio di basso livello come quello messo in piedi da Letta non può essere la soluzione, non può reggere.
La soluzione sta in un confronto tra avversari leali depurato dei personalismi, un confronto realmente democratico con posizioni diverse ma che si riconoscano reciproca legittimità.
A mio avviso, Matteo Renzi era l'uomo della vera pacificazione. Era, e sarà, il candidato del censtrosinistra in grado di vincere e governare cinque anni al quale il centrodestra non riconosce intenti persecutori, ma soltanto posizioni differenti.

3) Ius Soli. La pacificazione con gli italiani non nativi.
Anche su questo argomento Renzi può essere l'uomo della svolta. Mentre tutti gli esponenti, anche della sinistra più estrema, si perdevano in visioni autoreferenziali e posizionamenti tattici, Renzi ha apertamente dichiarato la sua posizione favorevole sull'argomento, dimostrandosi uomo in grado di portare a compimento idee di sinistra con S maiuscola. Dopo la legge Bossi-Fini abbiamo qualcosa da farci perdonare da coloro che sono venuti nel nostro paese in cerca do fortuna. Certo, dobbiamo regolamentare, in maniera democratica ma ferma, i flussi migratori, ma non possiamo ridurre qualsiasi problematica esistenziale a economia, come troppo spesso finiamo per fare. Un bimbo nato in Italia, che abbia frequentato le scuole italiane è e deve essere riconosciuto come italiano. Non ci sono se e non ci sono ma, lo dobbiamo alla sofferenza dei genitori, lo dobbiamo alla possibilità di reale integrazione dei bambini, e lo dobbiamo alla nostra memoria di popolo migrante.

martedì 7 maggio 2013

Quando Belzebù portava gli occhiali.


Molti della mia generazione hanno iniziato a seguire la politica quando il "public enemy number one" non era più Giulio Andreotti, spodestato dal più televisivo Silvio Berlusconi.
Nel ruolo di Lucifero di turno, a cui tutta la sinistra è da sempre affezionata (diciamo pure che ne rappresenta un alimento primario), Andreotti ha svettato per decenni, impersonando alla perfezione il Divo intorno al quale girava qualsiasi sceneggiatura tragica, qualsiasi thriller geopolitico.
Andreotti è uomo che ha attraversato tutti i grandi misteri d'Italia in silenzio, quando ancora internet non esisteva e tutto era più oscuro, indecifrabile.
"Meglio tirare a campare che tirare le cuoia", diceva. Alla fine però, contrariamente a quanto quasi tutti pensassimo, nella sua misterica malvagità era mortale pure lui, e diciamoci la verità, non è che abbia lasciato di sé grandi rimpianti. Quello che ha lasciato in eredità al futuro che succede alla sua scomparsa è l'andreottismo: un sistema di potere, e di vivere, fatto di compromesso ad ogni costo.
Capace di ricattare il migliore degli amici e di dialogare con il più esacerbato dei nemici, Andreotti ha fatto delle informazioni riservate, dei dossier un' arma di diplomazia di massa. Il suo Archivio (solo in parte, lo sappiamo tutti, ospitato oggi dalla Fondazione Sturzo) rappresentava una minaccia per tutti coloro che dovevano scendere a patti con il sette volte presidente del consiglio.
In una modernità che chiede trasparenza ad ogni costo, nell'epoca dei grandi fratelli che dirigono i movimenti e degli streaming delle consultazioni, Andreotti non avrebbe avuto vita facile. Il suo trono di spade poggiava su dialoghi sottovoce nelle stanze segrete del parlamentarismo; stanze che agli occhi dell'elettore contemporaneo sanno di muffa, di nafta, di incenso. Stanze chiuse da aprire, colloqui a fil di voce, argomenti arcani, leziosi, incomprensibili in un tempo dove vince chi ha più fiato per urlare.

Ci manca? No, non ci manca.
La sua azione politica durata dieci lustri ha lasciato dietro di sé un progresso della società italiana ma anche un sistema clientelare, lobbistico, uno Stato divenuto longa manus presente costantemente nella vita degli italiani che ha finito per deresponsabilizzarli.
Il suo fil rouge con una Chiesa secolarizzata fino al midollo, usata come mietitrice di consenso elettorale, ha finito per derubare la spiritualità degli italiani: tanti, dopo di lui, hanno iniziato a vedere nella Chiesa un centro di potere, più che un messaggio di Salvezza.
Tra i tanti personaggi scoperti con le mani nel sacco durante Tangentopoli, Andreotti (almeno da quella vicenda) è rimasto fuori. Durante le numerose perquisizioni non è mai stata trovata una lira in più di quelle che regolarmente gli spettavano. Eppure, il Divo Giulio è stato il più ladro tra i ladri: il suo è stato un furto di futuro.
Avesse impegnato tutto l'acume di cui disponeva per fini più servili verso il prossimo che non verso il mantenimento del potere fine a se stesso, è sicuro: adesso staremmo tutti un po' meglio.

sabato 4 maggio 2013

Cencelli for president.

Ai tempi d'oro della DC la spartizione delle poltrone avveniva secondo stretta osservanza del cosiddetto "manuale Cencelli".

Dopo gli anni di lottizzazione feroce berlusconiana (ma anche prodiana), oggi che torna Premier un esemplare di giovane vecchio post(?)democristiano ecco che il manualetto torna ad essere Vangelo ispiratore.
Rivisto e corretto secondo i dettami della modernità e del modernismo (molti giovani o presunti tali gettati qua e là a casaccio tra i vari dicasteri), il manuale Cencelli rivive di nuova linfa grazie all'amletico Enrico Letta. Amletico, certo, perché vittima costante di un dubbio: essere o non essere democristiano fino in fondo?
Enrico Letta (è il più giovane tra i vecchi o il più vecchio tra i giovani?) nel suo sobrio buonismo doroteo cerca di accontentare tutti per non scontentare nessuno, neppure quelli che al governo non ci sono: si parla addirittura di offerte insistenti alla Lega di presiedere la sua invenzione più fantasiosa, la Convenzione per le riforme costituzionali. I "Barbari Sognanti" però non accetteranno perché nessuno vorrà prendere in considerazione la boutade sulla macroregione del Nord, o forse accetteranno proprio per questo? (NON ce l'hanno fatta fare, noi ci abbiamo provato, urleranno in campagna elettorale).
Sebbene abbia mostrato doti diplomatiche fuori dal comune, il democratico-cristiano è incappato però in un errore macroscopico: la carica di sottosegretario alle Pari Opportunità affidata a Michaela Biancofiore. L'essersi accorto in ritardo dell' errore è comunque imperdonabile.
Personalmente penso che Letta, pur essendo agli antipodi della figura di leader che riterrei necessario per questo paese, aveva comunque mostrato risolutezza e ottime capacità organizzative riuscendo in poco tempo a mettere su un governo che era divenuto inevitabile. Tuttavia, con questo errore, ha aperto spazi a numerose critiche.
In primis, con la nomina di una persona evidentemente incapace e insensibile ai problemi che sarebbe andata a trattare ha lanciato un messaggio enormemente negativo: che nella sua testa era più importante accontentare le richieste di Silvio Berlusconi nei confronti della sua prediletta piuttosto che garantire un valido appoggio a Josefa Idem, Ministro che di quelle competenze è certamente sprovvisto e che avrebbe avuto bisogno di persone esperte all'interno del dicastero. La sensazione che contino più gli equilibri spartitori che la soluzione dei problemi dei cittadini andava cancellata, e invece ritorna prepotente ed inquietante.
In secundis, nei fatti ha mostrato poco rispetto (che invece ha sempre avuto a parole) per problematiche che tante donne ritengono ancora irrisolte, e su questo avrebbe probabilmente fatto bene a consultarsi con il presidente della camera, Laura Boldrini, che forse sul tema ha le idee più chiare. A che servono tutte quelle consultazioni se non si parla dei problemi reali?
Infine, ha rafforzato la critica di coloro che lo hanno accusato di aver intrapreso un percorso di rinnovamento solo anagrafico, non contenutistico. Michaela Biancofiore (come Nunzia di Girolamo o Beatrice Lorenzin) è personaggio nuovo soltanto nella faccia, nella carta d'identità, ma legato ad una visione iper-opportunistica della politica che ne è totale e definitivo annichilimento.

A questo punto, diviene sempre più chiaro che la speranza per il paese è quella di un governo dalla durata molto limitata, meno dei 18 mesi minimi previsti, affinché finalmente, davvero si possa tornare ad elezioni alla ricerca di un governo maggioritario e senza compromessi. Un governo con idee decise, chiare, moderne nei contenuti.
Il tempo di Cencelli è finito.