lunedì 28 ottobre 2013

Pink Rabbits, The National





You said it would be painless,
A needle in a doll.
You said it would be painless,
It wasn't that at all.





No, non è stato indolore.
La bellezza è personale e talvolta ti colpisce così nel profondo da farti male. Sì, perché muove i fili dell'animo umano come si fa con una marionetta, stuzzica il tuo immaginario in ciò che hai di più recondito, provoca sentimenti elevati a potenza.
La bellezza muove e commuove, a me succede sempre così.

Quando Matt Berninger attacca la strofa con quel “i was solid gold / i was in the fight” io mi sciolgo, mi proietto su un palco scuro e un po' malandato dell'east coast accompagnato da quel piano un po' sbilenco, canto-stono e me ne infischio, perché la bellezza mi riempie e me ne frego di tutto il circondario.
Pink Rabbits (a proposito, si tratta di una canzone dell' ultimo album dei "The National", n.d.r.) è la classica ballata struggente e decadente che mi avvolge i sensi, canzone di amore-non più amore, quindi meno banale della moltitudine di canzoni d'amore che affliggono questi tempi ossessivamente ripetitivi nella loro vacuità di versi originali.
L'approccio con una voce ridimensionata, quasi timida rispetto agli standard rende la canzone più intimistica, con la sezione ritmica che segue questa scia diversificandosi dal solito incedere aggressivo e iracondo.
Ciò che rende questo pezzo un gioiello è dunque la melodia di base, null'altro che melodia. Poche costruzioni accessorie, poca chitarra, pochi fronzoli: una bella melodia come poche se ne sentono e un testo "delusional", emancipato anche dalla nostalgia, che narra di un amore perduto e, quando ritrovato, ormai scaduto.

It wasn't like a rain it was more like a sea
i didn't ask for this pain it just came over me.

Nel finale un citazionismo raffinato presenta un Morrissey d'annata e quel "i was a television version of a person with a broken heart" che si alterna a un espressionismo tipico dell'immaginario del gruppo ("i was a white girl in a crowd of white girls in a park"), mentre un tappeto di fiati accompagna l'esecuzione, specie quella live, lentamente verso una conclusione che non può che essere delusione, se non altro per un'emozione che va spegnendosi. Eterna gloria all'inventore del pulsante rewind sul lettore cd.

lunedì 21 ottobre 2013

Bibbia dubbia.

É questa la mia bibbia piccolina, di sillabe storte e secche come un ramo, di parole che si danno ma che non si chiedono. Una bibbia che non apre mondi, che non cela formule e che dischiude, al massimo, divina indifferenza.

Una bibbiarella di malinconie sussurrate con gli ossimori, dove gli enigmi della vita hanno il sapore dolce-amaro d'un dissenso appena borbottato, d'un falò rimasto fuocherello.
Sparir non so dalla lettura intermittente, ma costante, di questa raccolta di voli, ché di questo si tratta: voli obliqui sull'animo umano, sulle sue debolezze, le sue strutture di cemento che si sgretolano come quegli orrendi castelli di sabbia tumefatti che sprigionavo sulle spiagge Cecinesi.
E tra i granelli immiliardati di parole e rime mozze, trovo la mia pace imperfetta, un inquieto silenzio che rasserena più di una carezza.
Era umile EuGenio, un buon genio dai modi gentili e dai tratti socratici: so di non sapere, ma so anche che tu non sai di non sapere. L'umiltà si tramuta qua e là in irrisione, talvolta si erge a fustigazione di scontate imposizioni di una società talmente piena (di sé) da apparirgli vuota. Perdonava però, perché sapeva, che dalla polvere veniamo e in polvere ritorneremo, perché siamo tutti indistintamente tremolanti nel mezzo della bufera, e perché siamo sangue ch'è destinato a seccare.


Non chieggo si ponga su questa
mia tomba epitaffio gentile.
A dirvi soltanto mi resta:
fui uomo, fui vile.

sabato 19 ottobre 2013

La polverizzazione del centrismo.

Il 18 Ottobre 2013, con le dimissioni di Mario Monti da Scelta Civica (sottospecie di partito da lui stesso fondato nel 2012) giunge a compimento l'implosione del centrismo. Per i sostenitori, come chi scrive, di un bipolarismo forte e radicato, non si tratta di un punto di arrivo ma di un punto di partenza, dal quale iniziare a costruire una sistema dell'alternanza che abbia prospettive solide e durature.
Scelta Civica è stato, oltre ad un bluff organizzativo (spiegheremo dopo il perché) un ottimo misuratore di intuito politico a capacità ermeneutiche dei commentatori politici: chi ha creduto in questo progetto ne è evidentemente privo. Sì, perché questo agglomerato di democristiani con ansia da riciclo, di ex pidiellini convinti della diaspora imminente di Berlusconi, di rigoristi che sbagliano porta, di sportivi e giornalisti in cerca di vitalizi è stato davvero uno dei più grandi collettori di errori ed errate valutazioni nella storia della Repubblica.
A cominciare dall'evidente contraddizione di chi dice di considerare la stabilità come il più importante dei valori ma poi non si adopera in alcun modo (per puro tornaconto egoistico) a rafforzare tale stabilità in maniera duratura, nell'unico modo possibile: dare al paese un sistema istituzionale che garantisca governi forti, in un contesto bipolare all'anglosassone che è l'unico in grado di cristallizzarlo negli anni.
Quanto a Monti: il professore ha avuto un suo ruolo anche positivo nell'avviare un inversione di tendenza del paese in termini di maggiore attenzioni ai conti, maggiore responsabilità, ha riportato l'Europa e gli Usa ad avere fiducia nell'Italia rilanciandone anche l'immagina etica.
L'assenza di visione "politica" di un uomo algidamente tecnico però ha esaurito il suo carisma e la sua presa sull'opinione pubblica italiana nel giro di poche settimane. Proprio in virtù di questa mancanza totale di prospettive se non meramente economico-finanziarie avrebbe dovuto portare Monti, con un'umiltà della quale probabilmente è privo, a capire di non essere in grado di guidare un movimento politico: perché la politica è un quid universale, investe la vita delle persone a 360°, tocca temi che vanno dai diritti civili all'organizzazione dei servizi, ha bisogno di interpretazione e rielaborazione della realtà e delle problematiche esistenziali dei cittadini, cosa che una visione puramente economicistica come quella del Professore non può fornire.
Al di là delle derive personalistiche di diversi movimenti politici italiani, un minimo di leadership organizzativa, motivazionale, carismatica è necessaria: la limitatezza di Monti, la sua timidezza, la sua robotica abnegazione al mondo delle radici quadrate nascondevano in sé sin dall'inizio le radici del fallimento di questa esperienza.
Per questo alla fine Scelta Civica, usurata dalle tensioni interne che Monti non ha saputo né capire né gestire, si avvia al disfacimento, lasciando che i propri componenti si avviino verso un centrodestra più moderato, verso un centrosinistra nel quale la matrice cattolica è sempre più forte, oppure (e per molti personaggi è la cosa più auspicabile) verso la scomparsa dal panorama politico nazionale.
La strada verso un bipolarismo compiuto è oggi un briciolo più facile: le derive proporzionaliste hanno un sostenitore forte in meno, e l'assetto istituzionale ha un motivo in meno per non approvare in tempi stretti una riforma elettorale che vada verso la democrazia dell'alternanza.

domenica 13 ottobre 2013

Immedesimazioni

Il primo tra i valori, la prima capacità che vorrò tramandare a mio figlio sarà questa: la capacità di immedesimarsi, di introiettare in sé sofferenze e gioie degli altri, i sogni e le esigenze, le ispirazioni e le disperazioni.

Questa capacità ce l'ha rubata la modernità, con la sua velocità tritatutto, con i suoi stress e le sue precarietà. L'homo sapiens sapiens è totalmente ripiegato su se stesso: la competitività economica, professionale, culturale ad ogni livello lo ha costretto ad una posizione costante di difesa da tutto e da tutti, ad uno stato di guerra permanente.

Questo egocentrismo universalizzato è fonte di impoverimento, perché l'incapacità di immedesimazione diviene incapacità di confronto, dunque di apprendimento, dunque di arricchimento personale.
Non riuscire più ad immedesimarci nell'altro ci aliena l'abilità di discernimento, di giudizio, trattenendoci prigionieri di paradigmi cognitivi limitati, usurati, superati.
L'opinione pubblica è divenuta un insopportabile ed inconcludente brusio di egoismi assortiti: gli imprenditori parlano di abbassare le tasse e di banche che non prestano loro soldi; gli operai sognano abbassamenti di tasse al lavoro dipendente; al sud si chiedono fondi per il sud, al nord si chiede di non dare più fondi al sud. Ogni categoria guarda a se stessa, nessuno chiede e riconosce diritti se non per se stesso.

Riscontriamo questo atteggiamento che è difficile definire altrimenti che non "meschino" nelle posizioni di una grande fetta di popolazione anche su due temi importanti della cronaca odierna: quello degli sbarchi di Lampedusa (e le tragedie che ci hanno colpito in questi giorni)  e quello sull'amnistia nelle carceri.
Tecnicamente, e anche politicamente, sono comprensibili anche le posizioni di chi vorrebbe far prevalere la legalità e la sicurezza, però la maggioranza della popolazione italiana ragiona ormai in termini di nemesi nei confronti di chiunque: il carcerato è un nemico da tenere dentro, l'extracomunitario un nemico da non far entrare.
Per quanto riguarda l'indulto, l'argomento alternativo, quando si va oltre l'atteggiamento puramente punitivo nei confronti del detenuto, è quello classico su Berlusconi (se l'indulto cioè copra o non copra anche i suoi misfatti) che di fatto ossessivamente e volgarmente ormai occupa qualsiasi possibilità di discussione in Italia. Sull'onda emotiva di questa rabbia, di questa paura si dimenticano completamente argomenti reali, concreti.
In primis, il nostro paese ha subito condanne dalla Corte per i diritti umani di Strasburgo per "trattamento inumano e degradante". Si tratta di esborsi economici non indifferenti, peraltro, e si è recentemente appreso che alla medesima corte europea sono in attesa di giudizio ulteriori 550 casi, che potrebbero causare un ulteriore, gravosissimo danno economico, senza contare l'ennesima figura da paese occidentale di serie B che anno dopo anno ci stiamo guadagnando sul fronte dei diritti.
L'Italiam inoltre, figura ultima in Ue nella classifica riguardante la qualità nella gestione dei penitenziari. Il tasso di sovraffollamento delle prigioni nel nostro Paese è del 142,5%: ciò significa che ci sono oltre 140 detenuti ogni 100 posti letto: la media europea è del 99,6%.

Non ci sono, inutile illudersi, soluzioni istantanee a problemi così profondi, però è avvilente ascoltare le opinioni, per strada, nei bar, sui social network, di cittadini la cui unica curiosità è legata soltanto al vantaggio o allo svantaggio che personalmente possono trarre da une determinata situazione, o dalla gravosità erariale di un determinato provvedimento del governo.
Dalla destra razzista che incita al respingimento violento dei barconi fino alle posizioni ad orizzonte limitato dei pentastellati interessati unicamente a ricercare minuziosamente cavilli per attribuire in maniera generalizzata colpe alle classi dirigenti al potere, ascoltiamo soltanto argomenti di basso profilo, senza ideali, senza fantasia, senza "weltanschauung".

E pur non volendo, ecco che ci si ritrova ancora a tirare in ballo il Cavaliere di Arcore, perché questa è, in definitiva, la devastante conseguenza del ventennio berlusconiano: l'aver elevato l'opportunismo a pensiero unico.

sabato 5 ottobre 2013

Quanto più puoi

Farla non puoi, la vita,
come vorresti? almeno questo tenta
quanto più puoi: non la svilire troppo
nell’assiduo contatto con la gente,
nell’assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarla
così sovente in giro, e con l’esporla
alla dissennatezza quotidiana
di commerci e rapporti,
sin che divenga una straniera uggiosa.

Nella sua traduzione italiana questa poesia s‘intitola “Quanto più puoi”, e ne è autore il poeta greco Costantino KAVAFIS.
Come ogni poesia tradotta in altra lingua molta delle bellezza viene diluita, anestetizzata da una perdita di musicalità che tuttavia non vede smarrito il senso intimo del componimento.
Una poesia profonda, che parla di vita e di come la vita andrebbe vissuta, preservata, tenuta lontano da tutto ciò che la fa cadere in quell’ andirivieni impersonale e ultra-veloce tipico della modernità che le toglie significato e autenticità.
Questa poesia invita, senza dirlo esplicitamente, a ricercare un senso all’ esistenza altrove da quello che la normalità quotidiana ci spinge a fare, ovvero nelle emozioni, quelle vere quelle forti, che nascono nell’ intimo di ognuno. Questa poesia invita a rifondare il rapporto con l’altro su basi più autenticamente umane, e per “umano” Kavafis intende e definisce la sfera dei pensieri, dei sentimenti, delle passioni e del loro intrecciarsi fecondo.
Costretto a una vita appartata, semi-clandestina dai pregiudizi dell'epoca nei confronti dei suoi temi troppo d'avanguardia, finì egli stesso per chiudersi in una solitudine farcita di autocensura, di sensi di colpa per un'omosessualità vissuta in maniera travagliata.
Passioni anche forti, infuocate talvolta, come quelle descritte in tante altre poesie, in cui loda la carne, loda i sospiri, i contatti e le parole d’amore, come ad esempio in “Torna”:

Torna sovente e prendimi,
palpito amato, allora torna e prendimi,
che si ridesta viva la memoria
del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,
allora che le labbra ricordano,e le carni,
e nelle mani un senso tattile si riaccende.
Torna sovente e prendimi, la notte,
allora che le labbra ricordano, e le carni…

Una sensualità intensa, quella di Kavafis, che in alcune liriche esplicita in altre cela tra i versi, tra i giochi di parole, alternando questa passionalità più carnale ad una più propriamente culturale e filologica per i classici Greci, amati con tutto se stesso.
Echi di nostalgie ellenistiche si mixano ad un cosmopolitismo che va a plasmare nei suoi versi tradizione e contemporaneità: i genitori, greci, erano tuttavia originari di Istanbul, ma lo diedero alla luce ad Alessandria d’Egitto; trascorse però parte della sua gioventù a Londra, prima di tornare a Istanbul e poi ad Alessandria. Nella sua cultura, piuttosto autodidatta, si ritrovano echi del decadentismo, ma la sua scrittura mantiene senza dubbio un’originalità e una musicalità tipica dell’Europa sud-orientale.
Pur nella triste tragicità di una solitudine vissuta amaramente, le parole di Kavafis hanno il potere di donare al lettore speranza e consolazione. Nella capacità di rintracciare la Bellezza in ogni sua forma e tempo, nel saperla cogliere, condividere e diffondere, sta infatti la possibilità del riscatto della nostra epoca ingrigita.

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese -
dorate, calde e vivide.