domenica 28 aprile 2013

Angeli o Demoni?

Infine si è giunti ad una conclusione.
Abbiamo un governo, il 62° della Repubblica, pronto a entrare in gioco.
Ad una prima analisi sembra costituito da diversi nomi apprezzabili, altri poco esperti, in buona parte giovani o comunque non compromessi, con la sorpresa Bonino a dare lustro a tutta la compagine.
Alcune considerazioni sulle scelte:
Cècile Kyenge è una bella novità che costringe finalmente la politica a prendere in considerazione ai livelli più alti il problema di regolamentare l'integrazione, possibilmente intervenendo su una legge ormai del tutto inadeguata come la Bossi-Fini.
La Idem allo sport è mossa puramente di marketing, che tuttavia lascia qualche perplessità per l'azione di quel dicastero riservata a politiche giovanili e pari opportunità. Probabile l'affiancamento di un sottosegretario di maggiore esperienza nel settore.
L'economia, tra i nodi più complessi viste le visioni spesso contrastanti tra i due principali azionisti del governo (nodo IMU), è stata affidata ad un tecnico, così come la giustizia, il che fa pensare ad un governo di gestione, più che di cambiamento vero.
Quagliariello alle riforme costituzionali metterà a frutto il lavoro dei saggi dei quali era parte integrante. Se potessi dargli un consiglio, approfitterei del sostegno solo esterno della lega per eliminare la base di calcolo regionale del Porcellum, vera e propria "porcata".
Il PDL piazza due giovani come Lorenzin e Di Girolamo più per assenza di nomi presentabili che per reali capacità delle due onorevoli: qui emerge chiaramente la richiesta di Letta (imbeccato, pare, da Renzi) di non inserire nel governo nomi fortemente divisivi e "ancien règime" come Brunetta, Schifani, Bondi, Scajola et similia.
Due ministri del PD rappresentano le novità in assoluto migliore e peggiore dell'intera compagine: Maria Chiara Carrozza ha tutte le credenziali per affrontare finalmente, in maniera competente, le enormi e variegate problematiche dell'istruzione pubblica; il ministro dello sviluppo economico, Zanonato, sembra invece frutto di un eccesso di tatticismo lettiano che ha dovuto piazzare questo ministro (bersaniano di ferro) in un settore che invece meritava figure maggiormente preparate, innovative e al passo con i tempi. Stesso ragionamento può essere fatto per il ministero dell'ambiente, dove Orlando è stato piazzato unicamente per accontentare i "giovani turchi", mentre questo sarebbe uno dei settori sul quale investire maggiori risorse per il rilancio anche industriale del paese. Queste due pedine paiono il simbolo di una volontà (o necessità?) spartitoria potrebbe essere il vero punto debole della squadra di governo.
Letta, in ogni caso, ha compiuto un capolavoro di mediazione, di tattica, ha saputo tessere una trama che, alla luce dei fatti di oggi, ritengo parta da lontano.
Ricostruendo tutta la storia dal dopo-voto, e volendo provare a individuare dietrologicamente uno schema che dia un senso a tutta la vicenda, si possono individuare i seguenti tre punti focali:

1) Proposta di Marini quale presidente della Repubblica;
2) Impallinamento di Prodi in quanto nome divisivo rispetto a possibili accordi con il centrodestra;
3) Limitazione delle sinistre parlamentari.

Tengo a precisare che si tratta di un puro divertissement, non ci sono prove e neppure indizi certi che diano spessore a questa ricostruzione, si tratta soltanto di sensazioni.
Comunque, dal momento in cui si è usciti dal voto con una chiara indicazione delle urne, ovvero che non c'era una maggioranza di centrosinistra per formare un governo, una parte del PD (la componente ex popolare, cattolica, moderata) ha iniziato a tessere una tela che trovava appiglio nelle componenti cattoliche e moderate degli altri partiti (Scelta Civica, Pdl). In buona sostanza, un fil rouge che univa tutti gli ex DC, che come da tradizione sono dei buongustai del compromesso.
Da questa convergenza trasversale nasce probabilmente la candidatura Marini, affossata dalla sinistra del PD ma anche da Renzi che vedeva in Marini un uomo della vecchia partitocrazia.
Prodi subiva quindi la rappresaglia di questa componente moderata ferita e sconfitta al primo tentativo: a quel punto quelli che erano soltanto contatti e piani B iniziavano a farsi realtà, di fronte ad una vera e propria implosione del PD che faceva crollare qualsiasi reticenza visto lo strappo e lo sgarbo ricevuto con la candidatura Marini.
Sotto la regia di un Napolitano connivente, investito della massima responsabilità vista l'impasse creatasi, Letta ha preso il coraggio a due mani e portato a termine il progetto iniziale ottenendo l'incarico e allestendo un governo che prevedesse tutte le componenti moderate del parlamento.
Il fatto che tutti i componenti della direzione del PD si siano dimessi ad eccezione del neo-premier è indicativo: lascia pensare che non fosse così focalizzato sulla linea precedente (linea alquanto traballante, a dire il vero) e che avesse già pronto il percorso alternativo da percorrere.
Se andiamo a contare i componenti ex DC o di formazione DC, ci accorgiamo che sono all'intenro del governo una maggioranza netta e ben definita, con addirittura due componenti di CL.
Emma Bonino probabilmente è stata scelta proprio per controbilanciare questa presenza fortemente, ferventemente cattolica all'intero del governo, oltre che per risolvere la grana dei Marò che pochi volevano assumersi la responsabilità di affrontare.
La sinistra, per l'ennesima volta, esce sconfitta amaramente dalla partita, e con la rinnovata liaison tra Renzi e Lettiani/Franceschiniani (puramente tattica) rischia di perdere il controllo del partito ma anche di essere confinata in posizioni di rincalzo al prossimo congresso, nonostante un possibile ruolo di direzione soltanto di facciata.
Le uscite di Barca e Vendola su un nuovo assetto territoriale/organizzativo che la sinistra deve darsi, sommate alle dichiarazioni di alcuni deputati del PD, hanno dato l'impressione di una forte volontà di ricostruire una forza di sinistra-sinistra, che vada a inglobare anche movimenti non precedentemente coalizzati come Rivoluzione Civile. Si tratta di un' ulteriore possibilità, ancora tutta da verificare, ma che potrebbe portare a un ulteriore riassetto delle forze parlamentari, con il risultato non certo rasserenante di trovarsi a future elezioni con quattro forze del tutto antagoniste che difficilmente permetteranno la formazione di governi stabili.
Adesso comunque quel che conta è il programma che Letta vorrà darsi: da domani capiremo se questo vorrà essere un governo transitorio, un governo d'emergenza, o sarà invece un vero e proprio esperimento di neo-centrismo che cercherà di durare il più possibile.
In questo caso, non tarderanno a farsi avanti i disturbatori...

giovedì 25 aprile 2013

E chi è #Letta?

Siamo entrati nell'era Letta. Dunque, chi è Letta?
Letta è un deputato 46 enne del PD, pisano, alla 4° esperienza di governo.
Tenero, umile, preparato e moderato.

Tra le sue migliori caratteristiche personali c'è quella di saper ascoltare: forse troppo.
É stato vice ad libitum: di Andreatta, di Prodi, di Bersani. Di tutti ha condiviso errori anche grossolani senza mai prendere le distanze, ma senza neppure venirne mai troppo segnato.
La scelta di Napolitano è ricaduta su di lui per la innata capacità di mediazione, ma anche per il suo essere uomo mai troppo esposto.
Onesto, preciso, cattolico, il suo segno distintivo non è quello di piacere a molti, ma quello di non dispiacere a nessuno.


Letta è uno che se Berlusconi gli dà del comunista i suoi compiacenti compari si slogano le mandibole dal ridere pensando sia la sua ultima, riuscitissima barzelletta.
Uomo delle istituzioni fino alla fine del mondo, come lo zio cui somiglia irrimediabilmente, ahilui è costretto a subire frequenti attacchi al limite della demagogia per questa malcapitata parentela.
Ha scorribandato nel progressivo disfarsi dei partiti ideologici, trovando il suo momento di luce (questo) nel momento di maggiore ombra del parlamentarismo partitocratico.
Adesso gli tocca un compito ingrato: far digerire qualche mese di alleanza con il Pdl ad un partito già in avanzato stato di decomposizione; la sua aria da affidabile e compassionevole impiegato delle onoranze funebri potrebbe in questo aiutarlo molto.

Di lui hanno parlato e parlano smielatamente bene i molti Maestri e Capi: Monti, Prodi, D'Alema, Amato, Bersani. Uomo di sicura affidabilità, grande compostezza, certa lealtà. Loro si fidano.
E se loro si fidano, Voi vi fidate di uno di cui loro si fidano? IO NO.

Il sindaco d'Italia.

"Nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità"... Albert Einstein



Una via d'uscita c'è, inutile nasconderselo. C'era già da prima, da quando la sinistra ha voluto essere sinistra fino in fondo, ovvero ha deciso di perdere.
Esiste un progetto compiuto, finito, condivisibile da tanti protagonisti della vita pubblica italiana che potrebbe cambiare definitivamente alcune regole deteriori, paludose della nostra architettura costituzionale.
Inutile nascondersi dietro le sublimi letture di Benigni su "la più bella del mondo", sarà bella, bellissima, stupenda, ma è invecchiata, la nostra Costituzione. Urge lifting.

Ci sono numerosi studi internazionali che spiegano come i buoni risultati nella gestione di un paese siano in gran parte legati alle sue regole, alla capacità di applicarle e di renderle fruibili.
Quindi, se vogliamo iniziare a cambiare questo paese, dobbiamo iniziare a cambiare alcune regole, semplificarle e dare loro maggiore efficienza.

DOMANDA: qual'è l'unica istituzione italia che funziona bene, che i cittadini tutto sommato rispettano, e che dà garanzia a tutti i protagonisti di poter vincere? RISPOSTA: il sindaco.
L'elezione dei sindaci funziona, spesso permette anche a coalizioni antagoniste di arrivare alla vittoria (vedi Pisapia a Milano, Doria a Genova, De Magistris a Napoli). C'è comprensione delle regole da parte dei cittadini, c'è partecipazione attiva, e ci sono risultati. Perché non copincollarla a livello nazionale (con i dovuti accorgimenti, ovvio)?

Tra i pochi risultati positivi che, nonostante la marea montante di disprezzo verso la politica, vengono riconosciuti dai cittadini ci sono casi di buongoverno locale in città importanti: Chiamparino a Torino, Renzi a Firenze, Delrio a Reggio Emilia, in buona parte anche De Luca a Salerno e Perrone a Lecce.

Come per le primarie locali, durante le primarie per il candidato sindaco tutte le correnti di un partito verrebbero rappresentate, e si giocano sul terreno del consenso la loro partita. Battaglia dura, serrata, poi però chi vince ha l'appoggio di tutti. Chi perde torna a studiare e a preparare la battaglia successiva, ma nel frattempo si mette a disposizione di chi ha vinto.

Coloro che criticano una riforma del genere, una sorta di semi-presidenzialismo all'italiana, devono prendere atto di una distanza ormai divenuta insostenibile tra i meccanismi di un parlamentarismo autoreferenziale e la voglia di partecipazione diretta dei cittadini, tenendo sempre presente che maggiore è la partecipazione della cittadinanza, maggiore è la responsabilizzazione della stessa.
Le deleghe in bianco sono finite.

sabato 20 aprile 2013

Bandiera Bianca

Siamo arrivati al redde rationem. La politica alza bandiera bianca e chiede ad un presidente 88enne di continuare per altri 7 anni mettendo ordine ad una guerra tra bande ormai insanabile.
Si tratta di un errore catastrofico che i giovani di ogni schieramento dovrebbero combattere con decisione, perché il messaggio che passa è quello che non ci siano alternative alla status quo.

In molti si chiedono perché non ci sia stata convergenza su Rodotà, ed il motivo è presto detto.
Nei sondaggi il M5S sta perdendo terreno in quanto l'elettorato si è reso conto di quanta improvvisazione e incapacità ci sia in quel movimento. Molti imputano loro immobilismo, incapacità di produrre alcunché di utile per il paese. Se adesso, alla prima partita importante da quando si è insediato il Parlamento, il Presidente della Repubblica nascesse da un'iniziativa grillina, questa critica nei confronti dei 5 stelle decadrebbe mettendo il pd e il pdl in una situazione di difficoltà in ottica elettorale.
E pensare che nelle "Quirinarie" non c'è nulla di grillino, sono tutti nomi già usciti nei vari sondaggi giornalistici precedenti. Nessuna idea, nessuna proposta, nessun proprio nome. Eppure, passerà l'idea che con Rodotà avrebbero vinto loro.
Un altro motivo per cui Rodotà incontra difficoltà nell'essere un candidato con ampia maggioranza è che si tratta di uomo di sinistra, e potrebbe essere impallinato dai franchi tiratori ex popolari, cattolici del PD, bruciando anche questo nome.
L'ultimo, decisivo motivo infine è dovuto al bieco battage pubblicitario, becero e ingenuo, che viene fatto sul suo nome dal M5S, arrivato addirittura a fare manifestazioni fuori dal parlamento. Questa non è politica, è tifo da stadio: e noi abbiamo eletto parlamentari, non capi ultrà. Con questo atteggiamento viene allontanata qualsiasi possibilità di appoggio da parte di un partito, il PD, che sarebbe in realtà il partito cui Rodotà apparterrebbe politicamente.
Purtroppo gli interessi di parte, sommati allo spirito di vendetta e rivalsa di una classe politica ormai al tramonto può ancora avere influenza decisiva sullo svolgersi delle operazioni, e di questo non si può incolpare nessun altro se non coloro che, a partire dalle Primarie, hanno SBAGLIATO le proprie scelte.

L'elezione di Napolitano ha in sé tutte le risposte alla situazione di stallo: un presidente largamente condiviso; un programma, quello prodotto dai saggi, cui attenersi per un futuro governo tecnico politico; probabilmente anche dei nomi pronti per quel governo.

Manca il coraggio; sono mancate le idee. Per questo ci si affida a Napolitano. Sarà una sconfitta per tutti, ma soprattutto per chi ha voglia di cambiare davvero.

venerdì 19 aprile 2013

Soluzione finale

Oggi pomeriggio il numero fatidico era 504. Romano Prodi era il nuovo candidato del centrosinistra e poteva contare su 496 voti potenziali (PD+SEL+Senatori a vita+gruppo Italiani all'estero).
Si è ritrovato stasera con oltre 100 voti in meno.
Si è passati da una scelta (Marini) totalmente supina rispetto alle richieste di garanzia del PDL a una scelta totalmente invisa al PDL stesso.
Al di là delle valutazioni di metodo e di merito, emerge veramente preoccupante lo stato confusionale in cui versa la direzione del PD, passata in 12 ore da una posizione alla posizione diametralmente opposta. Avvilente.

A parte le soluzioni fantasiose, quelle nascoste, quelle futuribili, al momento, basandosi sulla mera conta delle preferenze espresse, le candidature forti sono soltanto 2: Stefano Rodotà e Annamaria Cancellieri.

L'ex ministro tecnico degli interni raccoglierebbe le preferenze di Scelta Civica e sicuramente di buona parte del PDL, ed essendo un ministro tecnico potrebbe essere ritenuta figura di garanzia, super-partes. Il suo profilo professionale di commissario prefettizio sarebbe comunque una sconfitta per tutta la sinistra, politicamente.

Stefano Rodotà, che personalmente ho ritenuto essere il candidato ideale ben prima delle quirinarie grilline, ha dalla sua un profilo politico ma anche istituzionale condivisibile da tutto il centro-sinistra, eccezion fatta per  la componente ex democristiana del PD.
Si pone inoltre un problema di orgoglio: il PD, 1° partito in quanto a grandi elettori, dovrebbe accettare il candidato di bandiera del 3° partito, e questo al momento risulta inaccettabile.
La soluzione sarebbe comunque dietro l'angolo: molti dimenticano che Rodotà è l' ex Presidente dei DS, quindi è certamente riconducibile all'area del PD. Se Rodotà stesso dichiarasse apertamente questa sua appartenenza, diverrebbe automaticamente candidato e candidabile dal PD, e in tal caso potrebbero venir meno certe punte d'orgoglio da parte di Bersani & soci.


giovedì 18 aprile 2013

La DC ai tempi dei social network.

Ieri sera è successa una cosa bellissima, epocale. É successo che la dirigenza del principale partito italiano ha trovato un accordo conservativo con i propri avversari storici per la candidatura di un uomo della partitocrazia, un uomo lontano dalla realtà, grigio, perdente. Un democristiano.
Poi, è successo che i giovani di quel partito e del partito alleato hanno iniziato a liberare la propria coscienza sui social network (twitter in primis), ed è montata una marea rivoluzionaria che minuto dopo minuto ha demolito quella candidatura.
La D.C. è morta e una nuova generazione di deputati, smartphone alla mano, ha dovuto ricordarlo al paese e alla direzione del proprio partito. Serracchiani, Civati, Renzi, Orfini, e tanti altri hanno da subito espresso la loro opinione negativa sui social network, e questo pian piano ha convinto anche altri giovani deputati o grandi elettori a prendere coraggio ed esprimere la propria opinione. Tweet dopo tweet si sono aggiunti, consci di non essere isolati, anche altri esponenti del PD, di SEL (tanto che infine Vendola ha indicato la linea contraria di tutto il partito), di Scelta Civica (Edoardo Nesi per primo).
Ieri sera Bersani è riuscito in un capolavoro: mostrare a tutti che c'è nel PD e in parlamento una nuova classe dirigente in grado di raccogliere la sua imbarazzante (e imbarazzata) eredità. Bersani, contrariamente a chi dice che è riuscito nell'impresa di spaccare il PD, ne ha gettato le fondamenta per il futuro. Ha introdotto, ha legittimato, ha traghettato in transatlantico una volontà sincera di rinnovamento, senza avere il physique du rôle per realizzarla. Anche lui, come l'uomo che aveva candidato alla Presidenza della repubblica, difetta di 2 fattori:
1) la percezione della contemporaneità, delle istanze, delle novità che la società del 2013 presenta: non ha capito internet, non ha capito i social network, non ha capito quanto sia pressante la richiesta di partecipazione diretta dei cittadini.
2) l'eccellenza: un presidente della repubblica, come un premier, devono svettare in competenza, autorità, lungimiranza e comunicatività: Bersani, semplicemente, non eccelle in niente.

Per una volta, possiamo sperare: il futuro che si prospetta è senza dubbio migliore del presente che stiamo vivendo. La possibilità di dar forza a questa speranza è anche nelle mani di chi ha passione per la politica. Oggi abbiamo gli strumenti per influire su certe scelte, come questa lunga nottata di tweets dimostra.

lunedì 15 aprile 2013

#Colle

La corsa alla Presidenza della Repubblica si svolge su un sentiero estremamente impervio. Si tratta di una corsa tutta in salita, ardua, faticosa, nella quale non c'è alcuna discesa prima dell'ultima  votazione, quella decisiva.
In un momento in cui tutto il paese richiede forti cambiamenti, verrebbe naturale immaginare un personaggio nuovo, possibilmente donna al Quirinale. Il "nuovo" però non è mai un valore in sé, è un valore se e solo se accompagnato da altri fattori, quali la competenza, la lungimiranza, l'onestà.
In una posizione di garanzia e di mediazione come quella del Colle, occorre forse fare un passo indietro rispetto alla voglia legittima e sacrosanta di sovvertire completamente tutto l'asset istituzionale. Gli sconvolgimenti degli equilibri parlamentari, la richiesta di stravolgimento generazionale delle direzioni dei principali partiti, l'imporsi di forze nuove, fanno sì che le incertezze saranno molte nei prossimi mesi/anni. Per questo sarebbe preferibile avere alla Presidenza della Repubblica una figura di esperienza, in grado di maneggiare minuziosamente i regolamenti istituzionali, una persona di fiuto e di mediazione, in grado di placare possibili derive.
Tra le figure emerse in questi giorni, e uscite anche dalle "Quirinarie" tenutesi sul portale del M5S, ce ne sono alcune che hanno queste capacità. In particolare, penso a Stefano Rodotà, uomo di grande cultura, di garanzia, avvezzo a ruoli istituzionali ma anche allo studio dei delicati e complicati passaggi normativi che la nostra costituzione prevede. E purtuttavia, si tratta di un uomo non riconducibile alle vecchie logiche spartitorie cui abbiamo assistito in questi anni.

Certamente la figura di Emma Bonino sarebbe stata, in altri momenti, figura di maggiore rottura, persona capace, determinata, in grado probabilmente di incidere di più e meglio su una realtà nazionale ed internazionale bisognosa di interventi drastici da parte di persone di buona volontà come lei.
La presidenza della Repubblica però è un'istituzione con poca libertà d'azione, nella quale un'attivista storica dei diritti umani coma la Bonino vedrebbe inutilmente limitata la propria predisposizione alla soluzione di problemi di importanza planetaria (penso alle campagne contro l'infibulazione, alla pena di morte, ecc.).
Per quanto concerne gli altri nomi in gioco, da Prodi a Marini a Finocchiaro, fanno tutti parte di strette logiche partitocratiche che rappresenterebbero un'ulteriore lacerazione con il paese.
Rimangono poi i nomi più fantasiosi, tipo Gino Strada, Gabanelli, Caselli, (tutte persone stimabilissime); bè, queste sono boutade dei professionisti dell'improvvisazione, e di improvvisazione, in questo paese, ce n'è sin troppa.


sabato 13 aprile 2013

Saggi, barche e pirati.

La settimana politica ha finalmente visto arrivare al traguardo diversi iniziative che erano state annunciate alcune settimane fa da parte di diversi protagonisti della vita pubblica del paese.


  • Il lavoro dei cosiddetti "saggi" o "facilitatori" indicati da Napolitano;
  • la scelta di un candidato alla presidenza della Repubblica da parte dei militanti del M5S;
  • la presentazione del proprio manifesto da parte dell'attuale ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca.
Per quanto riguarda il lavoro dei saggi, si può dire, come prevedibile, che abbiano prodotto (visto il poco tempo a disposizione) soltanto enunciazioni di principi condivisi da buona parte dell'arco costituzionale, senza però entrare troppo nei dettagli (e i dettagli in politica sono spesso decisivi).
Il lavoro della quaterna di "facilitatori istituzionali" ha prodotto i risultati migliori, in quanto più concreti ed effettivamente applicabili: finalmente si è giunti a trovare un accordo da parte di tutti sulla riforma del bicameralismo perfetto, ormai davvero ritenuto superato da tutti. Si è trovato anche un accordo sulla riduzione del numero dei parlamentari, altro elemento auspicato da tutti (in misure diverse): questi potrebbero essere due atti condivisibili che un eventuale governo di transizione verso le elezioni potrebbe tradurre in realtà. Per il resto, dalla riforma elettorale alla forma di governo, non si sono prodotti risultati che potranno essere tradotti immediatamente in leggi, inutile negarlo. Si scorge comunque tra le righe la possibilità di poter trovare un accordo per tornare al "Mattarellum", che è un sistema "meno peggio" del "Porcellum". D'altronde in Italia accontentarsi del "meno peggio" è divenuta un'abitudine.
Il lavoro dei "facilitatori" economici, come prevedibile, ha invece prodotto unicamente enunciazioni vaghissime sul da farsi dal punto di vista economico, senza indicazioni sulle coperture economiche, senza alcuna idea sul rilancio industriale del paese. Non poteva essere altrimenti, viste le incipienti divisioni tra i partiti. Il risultato è stato dunque di una vaghezza che confina con l'inutilità.
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La selezione dei candidati alla Presidenza della Repubblica del M5S si è rivelata una farsa colossale, che dà ampiamente l'idea della consistenza di questo movimento, che è una vera e propria sublimazione dell'effimero.
Si è scelta la selezione online dei candidati non assicurandosi di proteggere adeguatamente questo importante momento di democrazia da attacchi esterni, innescando così, a causa dell'annullamento del voto, le peggiori ironie e le più consolidate critiche da parte di chi non crede a queste forme di democrazia diretta. La figuraccia quindi non si limita all'inadeguatezza della Casaleggio & C. e del movimento padronale di Grillo, ma si allarga a tutta la concezione di democrazia partecipata che vorrebbero rappresentare. Un grave danno d'immagine alla volontà/necessità di modernizzazione del paese.
Per quanto riguarda i contenuti, ovvero i nomi usciti dalle "urne virtuali", ebbene si tratta solamente di nomi circolati sui giornali e sui media, un copia/incolla senza alcuna idea nuova. Se fosse stato effettuato un sondaggio a Ballarò (tanto vituperato) o sul "Fatto Quotidiano" sarebbero usciti gli stessi risultati. La parola che ancora una volta meglio descrive la situazione è: EFFIMERO.
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In direzione esattamente opposta alla volatilità, all'inconsistenza delle istanze rappresentate dal M5S va invece il documento di 55 pagine presentato dal ministro dimissionario Fabrizio Barca.
Un manifesto molto curato e dettagliato su come dovrebbe essere ricostruito un partito di sinistra oggi.
A mio avviso si tratta di un buon contributo al dibattito politico, una visione definita e concreta su come ristrutturare la partecipazione politica in Italia. Tuttavia, questa visione sembra giungere con qualche anno di ritardo, l'idea che emerge è quella di una riflessione iniziata alcuni anni fa e resa pubblica con qualche anno di ritardo. Ne è un indizio l'iscrizione tardiva dello stesso ministro al PD, il partito a cui è risolta la sua "memoria": segno che fino ad oggi non ci aveva creduto, motivo per cui aveva tenuta chiusa nel cassetto la sua coltissima analisi.
Il radicamento territoriale, lo "sperimentalismo democratico" sono contributi ad un' organizzazione partitica che non fa i conti né con lo splendido festival della democrazia delle Primarie, né con la voglia   di partecipazione diretta che il M5S rappresenta: entrambi elementi che portano la politica ai tempi di twitter un passo avanti rispetto a quella delle aggregazioni locali prospettata da Barca.

sabato 6 aprile 2013

Partecipazione, condivisione.

Si fa presto a dire partecipazione. Si fa presto a condividere in streaming qualche noiosissima quanto insignificante riunione dagli esiti più che scontati.
Si circuisce la curiosità un po' morbosa, un po' warholiana degli italiani dando in pasto agli esacerbati contestatori della "casta" (praticamente il 99% degli italiani) questa idea rivoluzionaria per la quale tutti possono essere protagonisti della vita pubblica. Poi, in maniera altrettanto rivoluzionaria (cortesemente considerate un paio di tir pieni di ironia quando uso questo termine) si dimostra che adesso si squarceranno tutti i veli che coprivano i peggiori scambi di favori tra manigoldi mostrando in diretta tutti i momenti basilari dell'attività politica del paese: a cominciare dal momento più sacro, quello delle consultazioni.
Uno allora si collega, e cosa vede? Un buon uomo che ripete ciò che ha detto ogni giorno in TV (sì, anche a Ballarò), un ometto timido che non ha il coraggio neppure di guardare negli occhi il suo interlocutore e un'arrivista sfrenata quanto arrogante che usa, a favore di telecamera come fosse a "L' Arena" di Giletti, i più sguaiati argomenti usati dai pensionati al Bar Sport.
La farsa della politica partecipata dai cittadini, della democrazia diretta si alimenta poi di un altro dato interessante: mentre il PD manda in diretta le proprie direzioni, con contrapposizioni di posizioni notoriamente anche molto distanti l'una dall'altra, il M5S prende le decisioni principali avvolgendosi nel più totale mistero. Fuggono verso Fiumicino in Pullman per andare a sentirsi dire che se prendono decisioni diverse da quelle pretese dal leader il leader stesso "non gioca più", si ritira.
Questo è il cambiamento? è questa la rivoluzione? (sic!)
No, non possiamo accettare che passino altri giorni così: un'industria allo sfascio, un'economia in sofferenza, l'affievolirsi progressivo di ogni speranza per tanti disoccupati, e coloro che dovrebbero portare soluzioni innovative e lungimiranti barricati dietro una coerenza nullificante, insignificante, del tutto priva di contenuti.
Non un nome utile per una carica istituzionale; nessuna soluzione per la formazione di un governo, seppur temporaneo; nessuna indicazioni per un possibile presidente della Repubblica, per il quale si chiede aiuto (questa è la verità) alla rete vista la mancanza totale di idee.
Inutile girarci intorno: la Politica è affare serio, non si improvvisa. La politica improvvisata è politica fatta male.
Mascherare con gli streaming e con il web l'assenza di idee è un raggiro tanto grave quanto quello propinatoci finora delle classi dirigenti che si vorrebbero abbattere.

Senza le idee, e senza uomini validi con delle idee, o c'è l'opportunismo (che sappiamo dove alloggia), o c'è il Nulla.