domenica 22 dicembre 2013

Le luci della centrale elettrica - "Quando tornerai dall'estero".


Ci sono canzoni, ci sono autori che al grande pubblico non arriveranno mai. Di più, sono del tutto avvolti da una nebbia che ne preclude la visibilità, la conoscibilità, la comprensione.

Un' ermeneutica impossibile
.

Magari quei 4-5 accordi di chitarra acustica arrivano pure, un bel giro LA-FA-LA accattivante, ma poi senti parlare di "eyeliner per andare in guerra", ti senti paragonare a degli "aironi che abitano vicino al campo nomadi", e cade ogni riferimento.
Citazionismo a cavallo tra il nostalgico e il sarcastico, per quella serenità popolare perduta e per quella stessa serenità popolare che si merita soltanto schiaffi, per quanto è deteriore.

Cantautore di una generazione smarrita, catastrofica nell'elaborazione di una benché minima prospettiva di futuro, Vasco Brondi è da considerarsi il poeta perfetto di questo tempo di crisi: crisi economica, di valori, di riferimenti, di strutture. La sua prosa è dunque una poesia derubricata; il suo è un amore tra disperati, come si conviene "ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici". Questa crisi di paradigmi ideologici, questo pessimismo liquido bagnano e aggrinziscono anche le più consolidate magnifiche sorti e progressive che albeggiavano nella terra natìa di Brondi, quell' Emilia ("paranoica") che pure fa risuonare ancora echi lontani dei tempi che furono ("partigiano portami via"). Ma, ahimè, ahilui, ahiloro, troppo lontani.

"Andremo ancora a letto vestiti, come ai tempi dei primi freddi e degli elenchi telefonici sui reni".
Di questo si tratta dunque: Vasco Brondi è il cantore della regressione, della decrescita, della generazione che per la prima volta è più povera di quella dei genitori. Il miracolo economico sempre sullo sfondo, sempre irrorato dai guru del marketing e delle Bibbie motivazionali ("proprio adesso che l'America è vicina") e che invece appare a questo famelico esercito di precari quanto di più irraggiungibile ("è come andare sulla luna in Fiat Uno").
Una poetica compiuta dunque, un sound semplice ma in continua evoluzione. Un altro grande prodotto di quest' Italia che ha arte sin dentro le viscere, eppure la ignora, la disconosce, la insulta, in un ormai prossimo Fahrenheit 451.


sabato 7 dicembre 2013

L' accolita dei rancorosi.

Accolita di rancorosi
gelosi, avvelenati, sospettosi
incazzosi dentro casa
compagnoni fuori strada
ci intendiam solo tra noi!

Quando, per qualche sventurato motivo, la mia attenzione è portata ad adagiarsi su questa esimia novità del panorama politico italiano, il Movimento 5 Stelle, mi risuona in mente costantemente, incessantemente questa strofa del maestro Vinicio Capossela.

Ho molti conoscenti che sono stati rapiti dalla soave melodia ideologica di questa nuova figura mitologica, mezzo comico mezzo content editor, e devo dire che un primo grande risultato è facilmente riscontrabile: persone completamente scevre di qualsiasi passione per la politica improvvisamente si scoprono analisti di spessore. E siccome la conoscenza è sempre fattore di crescita sociale, ben venga questa saggezza diffusa.
Persone oneste, lavoratori veri, che fino a poco tempo fa della politica non avevano bisogno, con il sopravvenire della crisi si scoprono bisognosi di aiuti, di riferimenti, oppure semplicemente di capri espiatori sui quali riversare tutto il proprio disappunto per una vita di sacrifici risucchiati dal buco nero dell' Infinita Tassazione Italiana.
Il M5S dà asilo politico a queste pulsioni comprensibili ma becere, sfrontate, eccessive nei toni e nei modi nei confronti del potere partitocratico. Visitate uno dei loro Forum: più la spari grossa più "mi piace" otterrai da utenti incazzosi in cerca di sfogo.
La rabbia acceca, e diventa operazione ai limiti del supereroismo riuscire ad imbastire un confronto dialettico sui contenuti con questi tori inferociti incitati alla corsa da un entrenador tutto votato alla contestazione aprioristica.

"E tutti i nostri no, dove vuoi che ci portino
e tutti nostri no, dove vuoi che ci portino"

Così si canta in un pezzo de "Le luci della centrale elettrica". Come dargli torto.
Dove possono portare tutti questi no, questi vaffa, questi "morti, zombie" ed epiteti vari?
Non porteranno che al lento disfacimento di un movimento che, puntando a cambiare tutto, non cambierà nulla, perché per cambiare davvero qualcosa occorre saper governare il consenso, occorre saper aggregare, mediare, occorre la tolleranza e la lungimiranza di chi non vede le proprie idee come assolutismi ma ha la forza di saperle sottoporre al confronto dialettico (parlamentare e non) e quindi imporle con la forza dei dati e degli argomenti.
Pensiamo un attimo al cavallo di battaglia del M5S, quello che gli ha fatto guadagnare le simpatie di gran parte dei lavoratori precari: il reddito minimo garantito. Grillo lo ha urlato da ogni palco, in ogni comizio. In parlamento però, per mesi e mesi, l'unico disegno di legge in tal senso presentato è stato quello del PD, che poi, in diverse amministrazioni locali lo ha reso realtà e adesso ha introdotto nella recente legge di stabilità una sperimentazione che punta a tradurlo davvero, in forme sostenibili, in legge. Le risorse vengono dalla tassazione straordinaria delle cosiddette "pensioni d'oro", introducendo quindi un meccanismo di equità veramente apprezzabile. Tuttavia, non sentirete nessuno di questi lanzichenecchi del confronto politico dire qualcosa in merito, perché la faziosità li domina come le peggiori espressioni della più bieca partitocrazia.
Si lamentano della stampa "nemica" (anzi creano vere e proprie liste di proscrizione) ma la loro informazione è meno obiettiva della Pravda ai tempi di Trotsky.

"E tutti i nostri no, dove vuoi che ci portino..."

sabato 9 novembre 2013

Una poltrona per due


Manca un mese a quel fatidico 8 Dicembre in cui si celebreranno le (ennesime) Primarie del PD.
Per tutti gli istituti di ricerca Renzi è ampiamente favorito, e vincerà.

Il sindaco di Firenze però non è fatto per fare il segretario di partito, perché è un battitore libero adatto a corse in solitaria, un decisionista abituato a gestire l'autorità autonomamente o con una ristretta cerchia di collaboratori fidati e selezionati.
Il confronto con un partito che più pluralista non si può, con un movimento che ingloba decine e decine di sfumature di pensiero diverse e talvolta anche contraddittorie non fa per lui, che tra le sue doti non annovera certo quella della diplomazia (dote nella quale invece eccelle Enrico Letta).
Ancora una volta, come ai tempi di Veltroni & Prodi, ci troviamo con un centro-sinistra che posiziona gli uomini giusti al posto sbagliato. Abbiamo il più democristiano (seppur competente, onesto, serio) dei suoi leader a Palazzo Chigi, dove a causa della situazione economica occorrerebbero scelte drastiche e innovative. Eppoi abbiamo (avremo) Matteo Renzi alla guida del partito, dove al contrario occorrerebbe un uomo in grado di fare da collante alle varie anime baldanzose che da sempre si muovono al suo interno.
Questa inversione di ruoli può portare giovamento al paese soltanto se si andrà presto alle elezioni e i ruoli si invertiranno, eventualmente sfruttando l'ottima immagine di Letta presso i governi dei paesi alleati sfruttando il buon Enrico come ministro degli Esteri, ad esempio.
Al contrario, se i due dovessero arrivare allo scontro, davvero si aprirebbero spazi pericolosissimi per le forze più deleterie, più demagogiche, più votate allo sfascio generale, privando l'Italia di una forza che, pur con tutti i suoi infiniti difetti, si è sempre caricata sulle proprie spalle il peso della responsabilità istituzionale.
Di positivo c'è comunque che assisteremo, nei prossimi mesi, ad un ulteriore sfoltimento di rami secchi nel primo (anzi, direi unico) partito italiano, ad un ringiovanimento che speriamo sarà sinonimo di rinnovamento, non solo nelle persone ma anche nei temi, e nell'approccio alla vita pubblica.
Anche in momenti in cui le risorse pubbliche sono ridotte al lumicino, la scelta su come investire queste poche risorse può fare la differenza, ed è per questo che occorre un uomo che abbia coraggio, trasparenza, che sappia andare per la sua strada senza sentire il bisogno di dare il classico contentino a tutti.
Renzi è l'uomo in grado di compiere queste scelte, di premere senza esitazioni l'acceleratore fino in fondo sulla strada della semplificazione, della digitalizzazione, della sburocratizzazione. Non ha, come affermano i suoi principali detrattori, il physique du rôle dello statista, ma è sufficientemente sfrontato da fregarsene dei commenti dell' establishment e andare dritto al punto: oggi la necessità per ripartire, per ritrovare crescita, e quindi posti di lavoro e ridistribuzione dei redditi, è quella di rompere corporativismi e privilegi, favorire la competitività delle aziende italiane senza per questo chiudersi in un provincialismo/nazionalismo anacronistico.
Gli stessi processi decisionali, da più parti segnalati come ostacolo alla governabilità del paese, possono trovare nell'affermazione del sindaco di Firenze una prospettiva di riforma che li renda finalmente funzionali, efficaci: dalla legge elettorale a doppio turno fino all'abolizione (o riforma) del senato.
Renzi rappresenta dunque l'unica vera possibilità di cambiamento per questo paese, non perché più capace di altri, non perché più colto o profondo (tutt'altro) ma perché la sua corsa verso il raggiungimento di questi obiettivi minimi dichiarati garantirebbe al paese l'unica vera scossa che le permetta di uscire da un torpore che appare insuperabile.
Per riuscire nella sua battaglia il sindaco ha necessariamente bisogno di un consenso ampio, che lo possa portare presto fino a Palazzo Chigi. La sua ambizione (da più parti ritenuta sfrenata) coincide con l'ambizione delle nuove generazioni di garantirsi un futuro dignitoso. Tutto ciò che si frapporrà a questa scalata, sarà un ostacolo al paese stesso.

lunedì 28 ottobre 2013

Pink Rabbits, The National





You said it would be painless,
A needle in a doll.
You said it would be painless,
It wasn't that at all.





No, non è stato indolore.
La bellezza è personale e talvolta ti colpisce così nel profondo da farti male. Sì, perché muove i fili dell'animo umano come si fa con una marionetta, stuzzica il tuo immaginario in ciò che hai di più recondito, provoca sentimenti elevati a potenza.
La bellezza muove e commuove, a me succede sempre così.

Quando Matt Berninger attacca la strofa con quel “i was solid gold / i was in the fight” io mi sciolgo, mi proietto su un palco scuro e un po' malandato dell'east coast accompagnato da quel piano un po' sbilenco, canto-stono e me ne infischio, perché la bellezza mi riempie e me ne frego di tutto il circondario.
Pink Rabbits (a proposito, si tratta di una canzone dell' ultimo album dei "The National", n.d.r.) è la classica ballata struggente e decadente che mi avvolge i sensi, canzone di amore-non più amore, quindi meno banale della moltitudine di canzoni d'amore che affliggono questi tempi ossessivamente ripetitivi nella loro vacuità di versi originali.
L'approccio con una voce ridimensionata, quasi timida rispetto agli standard rende la canzone più intimistica, con la sezione ritmica che segue questa scia diversificandosi dal solito incedere aggressivo e iracondo.
Ciò che rende questo pezzo un gioiello è dunque la melodia di base, null'altro che melodia. Poche costruzioni accessorie, poca chitarra, pochi fronzoli: una bella melodia come poche se ne sentono e un testo "delusional", emancipato anche dalla nostalgia, che narra di un amore perduto e, quando ritrovato, ormai scaduto.

It wasn't like a rain it was more like a sea
i didn't ask for this pain it just came over me.

Nel finale un citazionismo raffinato presenta un Morrissey d'annata e quel "i was a television version of a person with a broken heart" che si alterna a un espressionismo tipico dell'immaginario del gruppo ("i was a white girl in a crowd of white girls in a park"), mentre un tappeto di fiati accompagna l'esecuzione, specie quella live, lentamente verso una conclusione che non può che essere delusione, se non altro per un'emozione che va spegnendosi. Eterna gloria all'inventore del pulsante rewind sul lettore cd.

lunedì 21 ottobre 2013

Bibbia dubbia.

É questa la mia bibbia piccolina, di sillabe storte e secche come un ramo, di parole che si danno ma che non si chiedono. Una bibbia che non apre mondi, che non cela formule e che dischiude, al massimo, divina indifferenza.

Una bibbiarella di malinconie sussurrate con gli ossimori, dove gli enigmi della vita hanno il sapore dolce-amaro d'un dissenso appena borbottato, d'un falò rimasto fuocherello.
Sparir non so dalla lettura intermittente, ma costante, di questa raccolta di voli, ché di questo si tratta: voli obliqui sull'animo umano, sulle sue debolezze, le sue strutture di cemento che si sgretolano come quegli orrendi castelli di sabbia tumefatti che sprigionavo sulle spiagge Cecinesi.
E tra i granelli immiliardati di parole e rime mozze, trovo la mia pace imperfetta, un inquieto silenzio che rasserena più di una carezza.
Era umile EuGenio, un buon genio dai modi gentili e dai tratti socratici: so di non sapere, ma so anche che tu non sai di non sapere. L'umiltà si tramuta qua e là in irrisione, talvolta si erge a fustigazione di scontate imposizioni di una società talmente piena (di sé) da apparirgli vuota. Perdonava però, perché sapeva, che dalla polvere veniamo e in polvere ritorneremo, perché siamo tutti indistintamente tremolanti nel mezzo della bufera, e perché siamo sangue ch'è destinato a seccare.


Non chieggo si ponga su questa
mia tomba epitaffio gentile.
A dirvi soltanto mi resta:
fui uomo, fui vile.

sabato 19 ottobre 2013

La polverizzazione del centrismo.

Il 18 Ottobre 2013, con le dimissioni di Mario Monti da Scelta Civica (sottospecie di partito da lui stesso fondato nel 2012) giunge a compimento l'implosione del centrismo. Per i sostenitori, come chi scrive, di un bipolarismo forte e radicato, non si tratta di un punto di arrivo ma di un punto di partenza, dal quale iniziare a costruire una sistema dell'alternanza che abbia prospettive solide e durature.
Scelta Civica è stato, oltre ad un bluff organizzativo (spiegheremo dopo il perché) un ottimo misuratore di intuito politico a capacità ermeneutiche dei commentatori politici: chi ha creduto in questo progetto ne è evidentemente privo. Sì, perché questo agglomerato di democristiani con ansia da riciclo, di ex pidiellini convinti della diaspora imminente di Berlusconi, di rigoristi che sbagliano porta, di sportivi e giornalisti in cerca di vitalizi è stato davvero uno dei più grandi collettori di errori ed errate valutazioni nella storia della Repubblica.
A cominciare dall'evidente contraddizione di chi dice di considerare la stabilità come il più importante dei valori ma poi non si adopera in alcun modo (per puro tornaconto egoistico) a rafforzare tale stabilità in maniera duratura, nell'unico modo possibile: dare al paese un sistema istituzionale che garantisca governi forti, in un contesto bipolare all'anglosassone che è l'unico in grado di cristallizzarlo negli anni.
Quanto a Monti: il professore ha avuto un suo ruolo anche positivo nell'avviare un inversione di tendenza del paese in termini di maggiore attenzioni ai conti, maggiore responsabilità, ha riportato l'Europa e gli Usa ad avere fiducia nell'Italia rilanciandone anche l'immagina etica.
L'assenza di visione "politica" di un uomo algidamente tecnico però ha esaurito il suo carisma e la sua presa sull'opinione pubblica italiana nel giro di poche settimane. Proprio in virtù di questa mancanza totale di prospettive se non meramente economico-finanziarie avrebbe dovuto portare Monti, con un'umiltà della quale probabilmente è privo, a capire di non essere in grado di guidare un movimento politico: perché la politica è un quid universale, investe la vita delle persone a 360°, tocca temi che vanno dai diritti civili all'organizzazione dei servizi, ha bisogno di interpretazione e rielaborazione della realtà e delle problematiche esistenziali dei cittadini, cosa che una visione puramente economicistica come quella del Professore non può fornire.
Al di là delle derive personalistiche di diversi movimenti politici italiani, un minimo di leadership organizzativa, motivazionale, carismatica è necessaria: la limitatezza di Monti, la sua timidezza, la sua robotica abnegazione al mondo delle radici quadrate nascondevano in sé sin dall'inizio le radici del fallimento di questa esperienza.
Per questo alla fine Scelta Civica, usurata dalle tensioni interne che Monti non ha saputo né capire né gestire, si avvia al disfacimento, lasciando che i propri componenti si avviino verso un centrodestra più moderato, verso un centrosinistra nel quale la matrice cattolica è sempre più forte, oppure (e per molti personaggi è la cosa più auspicabile) verso la scomparsa dal panorama politico nazionale.
La strada verso un bipolarismo compiuto è oggi un briciolo più facile: le derive proporzionaliste hanno un sostenitore forte in meno, e l'assetto istituzionale ha un motivo in meno per non approvare in tempi stretti una riforma elettorale che vada verso la democrazia dell'alternanza.

domenica 13 ottobre 2013

Immedesimazioni

Il primo tra i valori, la prima capacità che vorrò tramandare a mio figlio sarà questa: la capacità di immedesimarsi, di introiettare in sé sofferenze e gioie degli altri, i sogni e le esigenze, le ispirazioni e le disperazioni.

Questa capacità ce l'ha rubata la modernità, con la sua velocità tritatutto, con i suoi stress e le sue precarietà. L'homo sapiens sapiens è totalmente ripiegato su se stesso: la competitività economica, professionale, culturale ad ogni livello lo ha costretto ad una posizione costante di difesa da tutto e da tutti, ad uno stato di guerra permanente.

Questo egocentrismo universalizzato è fonte di impoverimento, perché l'incapacità di immedesimazione diviene incapacità di confronto, dunque di apprendimento, dunque di arricchimento personale.
Non riuscire più ad immedesimarci nell'altro ci aliena l'abilità di discernimento, di giudizio, trattenendoci prigionieri di paradigmi cognitivi limitati, usurati, superati.
L'opinione pubblica è divenuta un insopportabile ed inconcludente brusio di egoismi assortiti: gli imprenditori parlano di abbassare le tasse e di banche che non prestano loro soldi; gli operai sognano abbassamenti di tasse al lavoro dipendente; al sud si chiedono fondi per il sud, al nord si chiede di non dare più fondi al sud. Ogni categoria guarda a se stessa, nessuno chiede e riconosce diritti se non per se stesso.

Riscontriamo questo atteggiamento che è difficile definire altrimenti che non "meschino" nelle posizioni di una grande fetta di popolazione anche su due temi importanti della cronaca odierna: quello degli sbarchi di Lampedusa (e le tragedie che ci hanno colpito in questi giorni)  e quello sull'amnistia nelle carceri.
Tecnicamente, e anche politicamente, sono comprensibili anche le posizioni di chi vorrebbe far prevalere la legalità e la sicurezza, però la maggioranza della popolazione italiana ragiona ormai in termini di nemesi nei confronti di chiunque: il carcerato è un nemico da tenere dentro, l'extracomunitario un nemico da non far entrare.
Per quanto riguarda l'indulto, l'argomento alternativo, quando si va oltre l'atteggiamento puramente punitivo nei confronti del detenuto, è quello classico su Berlusconi (se l'indulto cioè copra o non copra anche i suoi misfatti) che di fatto ossessivamente e volgarmente ormai occupa qualsiasi possibilità di discussione in Italia. Sull'onda emotiva di questa rabbia, di questa paura si dimenticano completamente argomenti reali, concreti.
In primis, il nostro paese ha subito condanne dalla Corte per i diritti umani di Strasburgo per "trattamento inumano e degradante". Si tratta di esborsi economici non indifferenti, peraltro, e si è recentemente appreso che alla medesima corte europea sono in attesa di giudizio ulteriori 550 casi, che potrebbero causare un ulteriore, gravosissimo danno economico, senza contare l'ennesima figura da paese occidentale di serie B che anno dopo anno ci stiamo guadagnando sul fronte dei diritti.
L'Italiam inoltre, figura ultima in Ue nella classifica riguardante la qualità nella gestione dei penitenziari. Il tasso di sovraffollamento delle prigioni nel nostro Paese è del 142,5%: ciò significa che ci sono oltre 140 detenuti ogni 100 posti letto: la media europea è del 99,6%.

Non ci sono, inutile illudersi, soluzioni istantanee a problemi così profondi, però è avvilente ascoltare le opinioni, per strada, nei bar, sui social network, di cittadini la cui unica curiosità è legata soltanto al vantaggio o allo svantaggio che personalmente possono trarre da une determinata situazione, o dalla gravosità erariale di un determinato provvedimento del governo.
Dalla destra razzista che incita al respingimento violento dei barconi fino alle posizioni ad orizzonte limitato dei pentastellati interessati unicamente a ricercare minuziosamente cavilli per attribuire in maniera generalizzata colpe alle classi dirigenti al potere, ascoltiamo soltanto argomenti di basso profilo, senza ideali, senza fantasia, senza "weltanschauung".

E pur non volendo, ecco che ci si ritrova ancora a tirare in ballo il Cavaliere di Arcore, perché questa è, in definitiva, la devastante conseguenza del ventennio berlusconiano: l'aver elevato l'opportunismo a pensiero unico.

sabato 5 ottobre 2013

Quanto più puoi

Farla non puoi, la vita,
come vorresti? almeno questo tenta
quanto più puoi: non la svilire troppo
nell’assiduo contatto con la gente,
nell’assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarla
così sovente in giro, e con l’esporla
alla dissennatezza quotidiana
di commerci e rapporti,
sin che divenga una straniera uggiosa.

Nella sua traduzione italiana questa poesia s‘intitola “Quanto più puoi”, e ne è autore il poeta greco Costantino KAVAFIS.
Come ogni poesia tradotta in altra lingua molta delle bellezza viene diluita, anestetizzata da una perdita di musicalità che tuttavia non vede smarrito il senso intimo del componimento.
Una poesia profonda, che parla di vita e di come la vita andrebbe vissuta, preservata, tenuta lontano da tutto ciò che la fa cadere in quell’ andirivieni impersonale e ultra-veloce tipico della modernità che le toglie significato e autenticità.
Questa poesia invita, senza dirlo esplicitamente, a ricercare un senso all’ esistenza altrove da quello che la normalità quotidiana ci spinge a fare, ovvero nelle emozioni, quelle vere quelle forti, che nascono nell’ intimo di ognuno. Questa poesia invita a rifondare il rapporto con l’altro su basi più autenticamente umane, e per “umano” Kavafis intende e definisce la sfera dei pensieri, dei sentimenti, delle passioni e del loro intrecciarsi fecondo.
Costretto a una vita appartata, semi-clandestina dai pregiudizi dell'epoca nei confronti dei suoi temi troppo d'avanguardia, finì egli stesso per chiudersi in una solitudine farcita di autocensura, di sensi di colpa per un'omosessualità vissuta in maniera travagliata.
Passioni anche forti, infuocate talvolta, come quelle descritte in tante altre poesie, in cui loda la carne, loda i sospiri, i contatti e le parole d’amore, come ad esempio in “Torna”:

Torna sovente e prendimi,
palpito amato, allora torna e prendimi,
che si ridesta viva la memoria
del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,
allora che le labbra ricordano,e le carni,
e nelle mani un senso tattile si riaccende.
Torna sovente e prendimi, la notte,
allora che le labbra ricordano, e le carni…

Una sensualità intensa, quella di Kavafis, che in alcune liriche esplicita in altre cela tra i versi, tra i giochi di parole, alternando questa passionalità più carnale ad una più propriamente culturale e filologica per i classici Greci, amati con tutto se stesso.
Echi di nostalgie ellenistiche si mixano ad un cosmopolitismo che va a plasmare nei suoi versi tradizione e contemporaneità: i genitori, greci, erano tuttavia originari di Istanbul, ma lo diedero alla luce ad Alessandria d’Egitto; trascorse però parte della sua gioventù a Londra, prima di tornare a Istanbul e poi ad Alessandria. Nella sua cultura, piuttosto autodidatta, si ritrovano echi del decadentismo, ma la sua scrittura mantiene senza dubbio un’originalità e una musicalità tipica dell’Europa sud-orientale.
Pur nella triste tragicità di una solitudine vissuta amaramente, le parole di Kavafis hanno il potere di donare al lettore speranza e consolazione. Nella capacità di rintracciare la Bellezza in ogni sua forma e tempo, nel saperla cogliere, condividere e diffondere, sta infatti la possibilità del riscatto della nostra epoca ingrigita.

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese -
dorate, calde e vivide.

domenica 29 settembre 2013

Pedalare in salita.

É un microcosmo curioso quello del PDL. Ci vivono personaggi antropologicamente interessanti.
Composto al 70% di avvocati, 20% di democristiani e socialisti riciclati e al 10% di veline, quando il capo comanda loro obbediscono in massa, senza porsi domande. Questo finché conviene, perché poi, quando inizia a materializzarsi il rischio di perdere qualche privilegio, ecco che si trasformano in veloci ed agilissimi leprotti pronti con nonchalance a saltare il fosso e a prendere le distanze.
Finché necessario, però, acriticamente difendono il proprietario, finanziatore, primo azionista del partito gettandosi in difese dialettiche ai limiti del volo pindarico. Si cibano di cavilli giurisprudenziali e fanno dell'incoerenza, o meglio della contraddizione, la loro arma atomica.
Un esempio? Votano in blocco a favore di una legge (vedi la Severino) salvo poi indicarla solo pochi mesi dopo come "incostituzionale" (come se a loro fosse mai fegato qualcosa della Costituzione...) nel momento in cui si ritorce contro il loro demiurgo.
Nacquero come alternativa Liberale, ma col tempo si sono trasformati in una dittatura dell'opportunismo che minaccia uno dei principali capisaldi del liberalismo: la divisione dei poteri. Quando pensano alla magistratura la immaginano come un cucciolo di chihuahua al guinzaglio doppio e stretto tirato da un padrone dai capelli finti/tinti.
Mistificano provvedimenti economici demagogici, utili soltanto a se stessi e a pochi benestanti, con promesse mantenute nei confronti di tutto il popolo italiano, giocando sull'ingenuità delle fette di popolazione meno preparate e informate.

Questo era il PDL prima e lo è adesso. Averci fatto un governo insieme era fin dall'inizio un'assunzione di responsabilità doppiamente pericolosa per il PD e per Letta, che anziché indicare 3-4 provvedimenti urgenti e tornare al voto ha voluto perdurare, ha voluto tirarla per le lunghe. Sapeva che avrebbe dovuto pedalare in salita per mesi, ma non ha voluto ammettere di non avere una squadra in grado di reggere questo sforzo.
Sapevamo tutti che la questione giustizia sarebbe stato un Gran Premio della Montagna invalicabile.

Adesso la crisi sarà lunga, l'instabilità provocherà perdita di credito e fiducia sui mercati e non potendo cambiare la legge elettorale non è detto che il risultato sarà diverso da un eventuale nuova tornata elettorale.

Ancora una volta la classe politica ha tradito, ha sbagliato, ed è inevitabile che la reazione di molti italiani sia di rabbia, di critica totale, di sfiducia per il presente e per il futuro, visto il passato.
Anche per chi è abituato a non perdersi in risposte populiste, superficiali, da sfascisti professionisti ma ad addentrarsi nel merito di singoli provvedimenti, singoli operati di singoli ministri diventa difficile controbattere ad un malessere generalizzato e consolidato.
L'ottimismo confina ormai con l'utopia.

Eppure, una piccola luce in questa giornata buia c'è.
Si disputa oggi il mondiale di ciclismo. Un'organizzazione perfetta e, nonostante il diluvio, la partecipazione, l'emozione di tante persone sono la dimostrazione che quando si vuole, in Italia, si riesce a dare anche una bella immagine di sé.

L'unione di intenti tra tanti volontari appassionati di sport, la bellezza mozzafiato della location, le idee e la capacità manageriale di chi ha voluto questo evento hanno dato al mondo un'immagine invidiabile di questa nostra terra.
Credo che si debba ripartire proprio da qui: dalle tante amministrazioni locali preparate, capaci, concrete. L'amministrazione locale in Italia funziona, non è coinvolta dai giochi di palazzo come la politica nazionale, conosce e comprende meglio le reali necessità della cittadinanza. La stessa legge elettorale per l'elezione dei sindaci è l'unica che funziona davvero.
Ripartiamo da qui, perché è troppo presto per smettere di sperare.

sabato 28 settembre 2013

"Intermittenza"


C'è uno stormo d'aquiloni

nel tempo che ci sorvola gl' animi

in questa lunga intermittenza

di silenzio e di speranza.

giovedì 12 settembre 2013

Scalfari, Bergoglio e il perdono.

Papa Francesco I, cui non difetta certamente l'umiltà (a differenza di molti suoi predecessori) ha deciso di rispondere ad una lettera del "Papa laico" Eugenio Scalfari su Repubblica.
Si tratta di una decisione che mostra un'apertura, una comprensione e una disponibilità al dialogo con i non credenti mai vista prima da parte della Chiesa, che colpisce anche emozionalmente chi da sempre custodisce nel silenzio della propria anima dubbi e riflessioni ai confini dello spirito.
Scalfari poneva, tra le altre, alcune domande riguardanti il rapporto tra Dio e una possibile, eventuale Grazia a un non credente. Ebbene, contrariamente alle più deteriori ortodossie, Papa Francesco ha dimostrato di avere un'apertura mentale sul tema e una sensibilità sorprendenti.

"Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza."

É questa la risposta centrale di tutto il dialogo, ed è un messaggio rivoluzionario, prepotente, scandaloso nella sua modernità.
I ferventi credenti hanno sempre concepito la propria fede, fatta di preghiera e sacrifici, come unica depositaria di verità, unico sentiero che portasse alla Grazia, alla salvezza, al Paradiso. Ne avevano ben donde, viste le privazioni cui la dottrina li obbligava.
Per i non-credenti di buon senso, tifosi del libero arbitrio e attenti ascoltatori della propria coscienza, era inconcepibile che un Dio "buono" come quello cristiano non fosse in grado di andare oltre le barriere dogmatiche e non sapesse vedere attraverso i muri dell'appartenenza: la coscienza pura, il comportamento etico, la moralità dispiegata nei comportamenti quotidiani e verso il prossimo non potevano non essere considerati nel "giudizio finale".
Oggi, dalle parole che emergono da questo dialogo, sappiamo che anche senza il dono della Fede l'agire coscienzioso è ritenuto salvifico, anche dal capo della Chiesa. Viene da pensare, leggendo le parole del Papa, che le ortodossie non abbiano dunque ragion d'essere, non siano poi così apprezzate, e rappresentino soltanto un inutile estremismo atto soltanto a creare conflitti tra popoli, tra etnie, tra persone. Un irrigidimento ideologico che non è figlio di una spiritualità verace.
Un clima di maggiore tolleranza, incontro ed equilibrio può essere inaugurato da questa nuova prospettiva, e non può che portare benefici all'intero sistema di relazioni del genere umano.

sabato 7 settembre 2013

Pacifismo low cost


Non c'è pace senza giustizia, e non c'è giustizia senza responsabilità.

In Siria sono in atto e sono stati commessi CRIMINI contro l'umanità. Crimini contro civili, contro bambini, contro donne e contro uomini in rivolta (ma questo dal punto di vista dello stato non cambia niente). La dittatura siriana utilizza il crimine e il genocidio come arma di lotta contro le opposizioni, e questa è la più grande delle ingiustizie, perché va a coinvolgere anche migliaia di innocenti. E questo al di là dell'uso che l' uso di gas.sia o meno comprovato.
In Siria si muore e si vede negata la giustizia da parte dello stato: come può un' organizzazione internazionale, o un qualsiasi paese sovrano, non prenderne atto? Come può una nazione moderna non prendersi la responsabilità di fermare questo sovvertimento dei più comuni diritti dell'uomo?


I soliti, famigerati democristiani di casa nostra, che quando Pannella si addentrava in uno dei suoi scioperi della fame deridevano il leader radicale come fosse un pagliaccio perdigiorno, adesso traggono giovamento da questa inutile protesta: si depurano le coscienze, fingono di interessarsi alle questioni internazionali, fanno professione di pacifismo e nonviolenza a buon mercato.
Intanto però i genocidi continuano, i gas sono ancora nelle cupe atmosfere di questa terra abbandonata a se stessa, e la catastrofe umanitaria si trasforma velocemente in migrazione di massa.
Dai ministri Mauro e Lupi, da Casini fino ai Celentano e Morandi di turno, tutti rinunciano alla cotoletta panata e alla carotina alla julienne, oggi. E domani?
Domani accadrà che altre ingiustizie verranno commesse da questo dittatore spietato, ma il silenzio sarà caduto sullo show del digiuno anti-bellico e nessuno muoverà un dito in difesa di chi avrà perso familiari, casa, dignità.
Alcuni di quelli che oggi digiunano sono gli stessi che qualche anno fa (2010) non avevano niente da commentare quando veniva concessa una delle massime onoreficenze italiane a Assad, l' "Ordine al merito della Repubblica italiana", salvo poi vederla revocata nel 2012. Solita ambigua, opportunistica, vile schizofrenia italiana dei giudizi sempre sommari, sempre imperfetti (Gheddafi docet).
Anche i campioni della destra nostrana, tipo Alemanno, si sono affrettati a proclamare la propria adesione al digiuno contro la guerra. Bravi, bravissimi. Poi però si dichiarano totalmente indisponibili all'accoglienza dei profughi, dei rifugiati, delle gente comune che immancabilmente dovrà spostarsi se l'ordine e la giustizia in quel paese non verranno ripristinati. Come conciliano le due cose?

Torniamo dunque al punto di partenza: se si vuole essere utili al prossimo, occorre agire affinché la giustizia venga ripristinata, anche attraverso l'uso (minimo indispensabile) della forza, almeno inizialmente. Se invece non si intende prendersi la responsabilità di ripristinare un livello minimo di giustizia, bé, allora avremo una PACE vuota come un deserto, e inutile come una preghiera.

venerdì 30 agosto 2013

Tasse, giochi di potere e tiri mancini.

In pompa magna il governo ha annunciato l'abolizione dell'IMU, vero e proprio grido di battaglia del PDL che ha consentito alla coalizione di Silvio Berlusconi di recuperare, in "zona Cesarini", diversi punti percentuali alle elezioni di Febbraio.
I vari Alfano, Cicchitto, Lupi e Berlusconi stesso esultano scompostamente sbandierando questo risultato come una loro esclusiva vittoria, una promessa mantenuta: ne sono piacevolmente sorpresi tutti gli elettori di centrodestra, non avendo il loro vate quasi mai mantenuto le fantasmagoriche promesse fatte nelle numerose campagne elettorali cui ha partecipato.

Da un punto di vista puramente tattico però la questione va analizzata un po' meglio.
Detto che non si tratta di un' abolizione ma di una semplice sospensione, con successiva rimodulazione e ridenominazione (si chiamerà Service Tax), si tratta implicitamente dell'ammissione da parte del governo (e quindi del centrodestra alleato) che di una tassa che vada a coprire anche gli immobili, in Italia, non si può fare a meno.
Se il centrosinistra, acconsentendo ad un'operazione che va a toccare tutta la popolazione, ha di fatto rinunciato ad una difesa delle fasce sociali più deboli, tradendo quindi il proprio corpo elettorale maggioritario, con questa concessione comunque mette nell'angolo il PDL per la questione giudiziaria di Berlusconi, in quanto adesso qualsiasi minaccia dovessero avanzare per l'esecutivo le varie pitonesse o i soliti Gasparri, Cicchitto Bondi ecc. lo farebbero unicamente per l'interesse di parte, e non per quello nazionale.
A quel punto il PD avrebbe gioco facile, in campagna elettorale, a presentarsi come unico vero partito di governo e di responsabilità presente in Italia, quale in effetti è pur con tutti gli innumerevoli, noti difetti.

L'abile manovra diplomatica di Letta sottolinea però, ancora una volta, l'anima tatticista, speculativa, democristiana dunque di questo governo e del suo premier, che predilige fino all'eccesso l'arma diplomatica a quella progettuale.
Nella sua più indiscutibile abilità consta quindi anche la più evidente debolezza di Letta e del suo entourage: la capacità di mediare e trovare soluzioni raggiungendo compromessi con lo storico avversario ha finito per nascondere, appannare la capacità/possibilità di proporre idee, programmi direttamente riconducibili al PD.
Per questo motivo, una volta finita l'esperienza di questo governo provvisorio, non potrà essere lo stesso presidente del consiglio a guidare una futura coalizione di centrosinistra, perché l'elettorato faticherebbe a riconoscere credibilità a proposte riformiste, originali, di rottura ad una dirigenza che si è cimentata in questi mesi in abbondanti dosi di conservazione e compromesso.

mercoledì 21 agosto 2013

Pensiero debole in bianco & nero.


Il razzismo é tipico dei deboli. Deboli perché di cultura debole, di orizzonti limitati, di sentimenti dozzinali (paura, aviditá).
É un pensiero debole perchè fermo ad un mondo sempliciotto in bianco e nero, quando il mondo, in realtà, è ed è sempre stato un esplosione di colori, una complessa giungla di sfumature tendenti all'infinto.


Il mondo dei forti peró, quello che si poggia sull'altruismo, l'immaginazione, la bellezza, e non ultima la saggezza, non li emarginerá.
Loro avranno sempre un megafono, un microfono, un fondo su un giornaletto di partito. Avremo cura anche di loro, garantiremo le loro impure libertá e le loro autarchiche limitatezze.
Perché sono deboli e li proteggeremo. E perché i bimbi, per crescere, hanno soprattutto bisogno di esempi.
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A tal proposito, per chi volesse approfondire, consiglio un libro molto interessante ed educativo sull'argomento, scritto non da un filosofo o da uno storico, ma da un ex calciatore che da sempre si è battuto per i diritti sul tema: Lilian Thuram, "Le mie stelle nere da Lucy a Barack Obama", ADD editore.

martedì 20 agosto 2013

Bocciare Boccia

Il 19 agosto il deputato di area "lettiana" Francesco Boccia ha presentato ai colleghi di partito del PD e all'opinione pubblica una sua mozione precongressuale, dal titolo "Italia Riformista".
Si è trattato di una mozione tanto dura quanto poco credibile, in quanto è parso evidente, goffo e artificioso il tentativo di avvicinare Renzi sul piano della critica generazionale e della rottamazione della vecchia classe dirigente. Quando però la critica proviene da un deputato che ha appoggiato in maniera supina e silente qualsiasi decisione delle precedenti dirigenze, è chiaro che la base elettorale di quel partito ha e avrà difficoltà a digerire tanta ipocrisia.
Il presidente del consiglio Enrico Letta ha infatti, intelligentemente, preso le distanze dal documento, per non perdere il temporaneo status da uomo super-partes.
 
Quello che stupisce è, per l'ennesima volta, la sfrontatezza, la totale assenza di senso del pudore di certe figure interne al PD incapaci di umiltà, equilibrio, senso (auto)critico: come può Boccia ergersi improvvisamente a steriminatore delle vecchie oligarchie?
Il buon Francesco, al quale non rimproveriamo certo il matrimonio con il ministro Pdl Nunzia di Girolamo, ha vissuto un lungo matrimonio elettorale niente di meno che con Massimo D'Alema, che grazie ad una delle sue felicissime intuizioni vincenti lo impose come candidato del centrosinistra alle elezioni regionali in Puglia, dove fu sonoramente sconfitto da Nichi Vendola.
Il giovane virgulto post-democristiano poi, che passa per essere personalità con forti connotazioni tecniche, interviene spesso con le sue affilate armi dialettiche nelle confronto pubblico su temi di politica economica. Ne è un esempio il  recente dibattito sull'acquisto degli F35, quando, per motivare la sua scelta filo-governativa e conservatrice (altro che "riformista") ha dichiarato su twitter che questi velivoli "spengono incendi, trasportano malati” come fossero elicotteri della protezione civile. Incredibile.
 

Boccia fa parte di quella zona d'ombra del PD, fatta di giovani vecchi e vecchi giovani, tutta volta al mantenimento della propria posizione privilegiata, ottenuta nel tempo grazie a posizionamenti tattici e mai per meriti, siano questi meriti di tipo amministrativo, di contributi di pensiero o di ampio consenso elettorale. Questa parte del PD, che presumibilmente è anche quella che dal giorno dopo le elezioni ha iniziato ad immaginare l'approdo comodo e proficuo delle Larghe Intese, è quella che, presumibilmente, ha pugnalato Prodi nel segreto dell'urna elettiva del Presidente della Repubblica.
 
Da sempre disponibile al compromesso al ribasso, questa ala ultra-conservatrice è sempre andata d'accordo con l'altra ala ultra-conservatrice presente nel PD, quella dei diessini dalemiani (della quale Bersani era espressione). Un connubio che, ad esempio, ha bloccato sul nascere la crescente aggregazione trasversale sul tema del superamento del porcellum promossa dal deputato ex radicale Roberto Giachetti, tanto per capirsi: mossa che avrebbe permesso di andare a votare in qualsiasi momento ed invece, adesso, c'è l'alibi del Porcellum (che il PDL non vuole cambiare) con il quale non si può votare e che quindi tiene tutto sospeso a tempo indeterminato.
Risultano pertanto inopportune, incoerenti e dunque fuori luogo anche le critiche aspre alla sinistra del partito presenti nel documento.
 
Nel frattempo, si cerca in ogni modo di preparare il terreno ad un'alleanza che possa contrastare le forze giovani e realmente riformatrici del partito: Renzi, Civati, Serracchiani, ecc.
Si preparano mozioni vuote, di critica fine e se stessa, senza contenuti, senza avere ancora idea di chi possa essere il "front-man" di tale fazione. In quest'ottica si inserisce il documento di Boccia, che al di là dei facili giochi di parole, è da bocciare in toto.
 


mercoledì 7 agosto 2013

La lepre e i suoi fratelli

Arto Paasilinna è uno scrittore finlandese, tra i più famosi e seguiti autori scandinavi contemporanei.
Come molti tra i più influenti letterati provenienti dal Nord (Hamsun in primis e come capostipite, ovviamente) pone al centro della sua narrazione la natura in tutte le sue sfaccettature: le bellezze, i pericoli, le emozioni che l'uomo ne ricava al contatto.

Il suo libro più conosciuto è "L'anno della lepre", uscito nel 1975 ed edito in Italia dalla meritoria casa editrice Iperborea nel 1994, ed ha ottenuto un grande successo editoriale anche in Italia (oltre 70.000 copie vendute).

"Sull'automobile viaggiavano due uomini depressi. [...] Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera".

L'incipit del libro è un' ouverture di cinismo e apatia in cui i protagonisti sembrano non cogliere quello che è invece il senso profondo di quasi tutta la produzione letteraria finnica: un rapporto fecondo con la natura che detta e fa da sfondo ai ritmi intermittenti della vita. 
Poi però il viaggio on the road del protagonista, in compagnia della sua lepre adottiva e in fuga dai conformismi sociali, si trasforma e va a rappresentare con successo la necessità di libertà autentica che alberga in ogni uomo, più o meno repressa. Sovvertendo l'aforisma nicciano ("libero da che cosa? che importa a Zarathustra? ma il tuo occhio deve limpidamente annunciarmi: libero per che cosa?"), quello di Paasilinna è un "Liberi Da" senza compromessi, senza ripensamenti.
Il plot, e la lettura stessa, divengono quindi un vero e proprio viaggio, un karma purificatore che segue di pari passo la trasformazione dell'ex giornalista Vatanen da schiavo delle convenzioni sociali ad autentico avventuriero.

Come in ogni libro di Paasilinna non manca poi un'abbondante dose di ironia, protagonista in situazioni talvolta al limite del surreale. Si tratta di un trait d'union di tutta la sua produzione, che quasi sempre prende spunto da collocazioni sceniche border-line per poi dispiegarsi in una narrazione in continua oscillazione tra il sarcasmo e l'intimismo più profondo. Basti pensare alla paradossale trama di "Piccoli suicidi tra amici" (un'associazone di aspiranti suicidi, la Libera Associazione Morituri Anonimi) o al personaggio mistico e strampalato di Linnea Lindemann, la levatrice/pescatrice/sciamana protagonista di "Sangue caldo, nervi d'acciaio".

Il vissuto multilevel, multitasking di Paasilinna (guardiaboschi, giornalista, poeta, scrittore) emerge chiaramente ne "L'anno della lepre" come in quasi tutti gli altri suoi testi, ed è forse questa la piccola meraviglia che accende la sua scrittura: la capacità di entrare ed uscire, con leggerezza e tempi perfetti, dalla realtà, il saperla ora vivere ora giudicare/raccontare in maniera ironica e al contempo profonda, accompagnando la lettura di scoperta in scoperta, di paesaggio in paesaggio, senza mai scadere nella banalità o nella ripetitività.

Buona lettura.

sabato 3 agosto 2013

All'arme!

Attenzione attenzione!
Mentre i più ingenui paiono essere affaccendati nella preparazione di un semplice, misero, piuttosto rattrappito periodo di ferie agostane, ci sono uomini dallo spessore IMMENSO che ci avvisano che qualcosa di enorme sta per accadere.

Sì, lo so, ora che sto per parlare di Guerra Civile e di Sandro Bondi insieme, tutti penseranno al solito pezzo sarcastico ai limite del surreale.

Eppure, eccola qua l'arcigna dichiarazione:

Sì, Sandro Bondi. Nato fisicamente a Fivizzano e politicamente nel Partito Comunista Italiano, noto agli amici post-rivoluzionari del tempo con il nome di battaglia "Ravanello" (rosso fuori bianco dentro), oltre ad una sfavillante carriera dirigenziale prima nel PCI e poi in Forza Italia-PDL, si è distinto nel tempo come alacre difensore dei secolari beni culturali italiani (a parte un paio di crolli) ma anche come sommo poeta del berlusconismo.
Le malelingue sono solite, schiave della propria invidia, additarlo come un meschino adulatore, non cogliendo che l'opera omnia di questo vate e del suo editore, Vanity Fair, sono in tutto e per tutto paragonabili a rapporti fecondi del passato aulico della nostra letteratura come quello tra Ardengo Soffici e Lacerba o tra Vittorini e "Il Menabò".

Oggi però il sandrino nazionale dismette i panni dell'uomo di cultura, del vate contemporaneo per dare fiato e voce all'indignazione, alla voglia di sovvertire questa società putrida in cui affiora, come malerba, un'ingiustizia intollerabile da estirpare per tutte le anime belle come lui: la condanna a Berlusconi.
Giammai potrà colui che lasciò ai posteri versi come quelli che riporteremo di seguito accettare una limitazione della libertà quale quella che si prefigura nei confronti del più buono tra i buoni, il più santo tra i santi, lo si sappia.
Dunque, il bonario comunista-per-errore, il Don Abbondio divenuto Manzoni, si accinge oggi a dichiarare la GUERRA CIVILE.
Ebbene sì: dalla sua bocca sono giunte parole infuocate degne del più ardito Marinetti, del più audace D'Annunzio. Ha chiamato a raccolta l'Esercito di Silvio e ha giurato assoluta eversione: dimissioni di massa dei parlamentari, sit-in azzurri, occupazioni di massa delle piazze con migliaia di pensionati in gita.

Poi la moglie lo ha chiamato a tavola che c'era pronta la Carsenta e tutto è rientrato.

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Ecco, come promesso, alcune perle del Maestro/Poeta/Guerriero-per-un-giorno:

A Giuliano Ferrara

Antro d’amore Rombo di luce Parole del sottosuolo Fiume di lava Ancora di salvezza

A Barack Obama

Impronta ancestrale Fuoco purificatore Cammino spirituale Perla nera

Alla segretaria del Cavaliere, Marinella

Muto segreto inconfessata attesa desiderata armonia inavvertita fortezza sospirata carezza d’amore

A Marcello Dell’Utri

Velata verità Segreto stupore Sguardo leggero Insondabili orizzonti

A Rosa Bossi in Berlusconi

Mani dello spirito Anima trasfusa. Abbraccio d’amore Madre di Dio

sabato 27 luglio 2013

Cosa c'è che non va.

Oggi che il principale sport nazionale è diventato l'antipolitica, l'offesa becera, triste e incondizionata a tutto ciò che è "potere", duole particolarmente rilevare come, mentre la politica migliora se stessa troppo lentamente, la società italiana è al centro di un declino velocissimo.

L'invidia, l'esasperazione, la demagogia assurta a ideologia, le difficoltà economiche mai viste prima, e soprattutto una gestione della Res Publica obiettivamente ripugnante hanno portato il livello di stima nei confronti della classe dirigente mai così basso. Tuttavia, la classe politica è sempre specchio di una società, e non può fungere da capro espiatorio per una destrutturazione, una dequalificazione dell'opinione pubblica che ha raggiunto livelli davvero vergognosi. 

Assistiamo quotidianamente, anche grazie alla diffusione dei social network che danno voce e visibilità (o per meglio dire sfogo) a qualsiasi istinto raccapricciante, ad un'inondazione di luoghi comuni, di offese, di espressioni ai confini della denuncia penale verso tutto e tutti. Viviamo un'epoca di imbarbarimento comunicativo in cui già a partire dalla forma (esiste ancora una grammatica italiana?) si denota il totale disprezzo delle regole, del prossimo, del buonsenso.
I numerosi casi di offese al ministro Kyenge sono ormai divenuti consuetudine, e fanno provare davvero profonda vergogna di appartenere a questo paese.

D'altronde, abbiamo nel corso del tempo sdoganato il turpiloquio elevandolo a pensiero-unico: i casi dei vari Bossi, Calderoli, Grillo, La Russa (e tanti, troppi altri) che guadagnano consenso utilizzando argomenti tanto bassi quanto scurrili ne è sintomo preoccupante.
La protesta come unica forma di azione politica sta finendo per silenziare sotto un incondizionato brusio privo di senso qualsiasi tentativo di cambiamento, qualsiasi atto di buona volontà (esempio palese la cronaca parlamentare di questi ultimi giorni su due tentativi di riforma importanti come l'abolizione delle province e il riequilibrio delle cosiddette "pensioni d'oro", presentati da taluni come "golpe silenzioso"...).

Cosa c'è che non va? C'è che l'argomentazione nel dialogo pubblico è divenuta povera, immediata.
A furia di seguire il diktat della comunicazione televisiva che impone tempi brevi e terminologia semplice ci siamo tutti tuffati in un' iper-semplificazione della nostra forma-mentis, in un irrazionalismo istintivo che non ci permette mai di arrivare a comprendere, ad elaborare in profondità le soluzioni che dovremmo approntare ai problemi del vivere comune.
Milioni di critici, miliardi di proteste contro tutto e tutti, sostanzialmente riepilogabili in pochi sfottò o offese, in caricature e piccinerie personalistiche, e MAI nessuna soluzione completa, articolata. Chi ha il coraggio di proporre è sempre e soltanto visto come uno che ha degli interessi.
Di questo passo, se non riusciremo a tornare a fidarci di qualcuno accuratamente valutato cui delegare la gestione della cosa pubblica, non ci si prospetta che un lento e inesorabile declino verso la barbarie e l'improvvisazione.

sabato 20 luglio 2013

Tormenti d'amore, in Ohio.

Ci sono arrivato recentemente, colpevolmente troppo recentemente, a loro.
Sono i The National, gruppo che nasce indie per sbocciare poi nelle classifiche di tutto il mondo senza perdere quell'approccio indipendente e personale che ne contorna da sempre lo stile.

Bloodbuzz Ohio, che sull'onda dell'entusiasmo mi spingerei a definire una delle più belle canzoni rock degli ultimi 15 anni (tanto sono gusti, avrei anche potuto dire inconfutabilmente 28 o 47), si appoggia, come molti altri successi del gruppo di Brooklyn, sul contrastato intreccio dolce-violento di batteria e voce. Una ritmica sostenuta, aggressiva, senza pause e irriflessiva, che si accompagna ad una voce baritonale profonda e calma, severa ma suadente.
Pur senza raggiungere grandi vette poetiche (in altre canzoni Matt Berninger fornisce prove di scrittura ben più apprezzabili: penso, ad esempio, a "pink rabbits") nella canzone emana un mood, una maturità che va oltre l'abilità puramente letteraria delle assonanze e delle metafore. Nello scorrere e nel rincorrersi di voce e ritmo si formano nell'immaginario dell'ascoltatore, pur senza essere evocate direttamente, immagini mitiche della cinematografia americana di tardo-pomeriggi piovosi da affrontare con il trench indosso.
In un andirivieni di rimpianti e delusioni (d'altronde, la definizione che i The national danno della propria musica è "delusional rock"...) le emozioni di una solitudine tormentata cozzano tra sé nella canzone sullo sfondo del "bellwether state", l'Ohio appunto, terra di industrie, di natura fertile e di politica (la politica è una costante nella vita pubblica del gruppo, come dimostrano le performances in favore di Obama di "Mr. November").
Il finale erge sul piedistallo una cavalcata di chitarra perfettamente calata nell'ambientazione, e va a chiudere con un'energia travolgente il pezzo, lasciando emergere finalmente, in un lampo di democrazia un po' octroyèe, anche gli altri componenti della band (due coppie di gemelli).

Interessante anche il video, nel quale è assoluto protagonista un Berninger un po' piacione ma perfettamente calato, humphreybogartianamente, nella storia.

lunedì 15 luglio 2013

Così parlò Calderoli

Da quando Enrico Letta ha avuto la spudoratezza di nominare ministro Cècile Kyenge, ai leghisti si è azzerata la salivazione. Un po' come se durante una cena sociale di cacciatori di cinghiali, facessi volare sulla tavolata un bel cinghialotto giovane, vivo e vegeto.
Il prode, ineffabile Roby Calderoli a questa mattanza ha voluto ovviamente presenziare in prima persona, e da protagonista, che lui è uno di quelli che contano, a quelle cene (una rilevazione statistica sul tasso alcoolico medio giornaliero lo dimostrerebbe senza possibili repliche).

Il memorabile ex dentista, ex ministro per la semplificazione, ex (sarebbe il caso) vicepresidente del senato, al grido di "Bergamo nazione/ tutto il resto è meridione" (il suo slogan preferito) si è prepotentemente inserito nella gara con i suoi pari a chi la dicesse più grossa contro il ministro uscendosene con un bel "quando vedo la Kyenge non posso non pensare ad un orango".
Calderoli però ne ha ben donde di criticare il neo-ministro, dall'alto della sua proficua stagione da servitore dello stato. Già, perché il nostro Robertino nazionale vanta grandi imprese...
Fustigatore inutile delle leggi inutili.
Un bel giorno organizzò un falò in cui raccontò al mondo di aver "simbolicamente" (ma non troppo) bruciato migliaia di leggi. Leggi vecchie, superate. Le ha tagliate, così, come si fa con i rami secchi, senza preoccuparsi di sostituirle, di ammodernarle, di riformarle. Ovvio, sarebbe stato troppo complesso per lui. La liaison tra il verde della camicia e quello delle siepi padane fa sperare in un futuro radioso nel giardinaggio.

Fustigatore di riti arcaici che si sposa con rito arcaico.
Come molti leghisti si compiace nel criticare la provenienza del ministro, criticandone una non precisata volontà di imporre "riti tribali" congo-style nel nostro paese. Che, detto da uno che si è sposato con "rito celtico" (davvero!) è decisamente ammirevole.


Fustigatore di leggi elettorali suine.
Calderoli è notoriamente il principale autore dell'attuale legge elettorale italiana, la peggiore delle galassie conosciute, il cosiddetto "Porcellum", da lui stesso definito "una porcata" (le metafore etologiche ne contraddistinguono da sempre la poetica). Spesso lo si sente oggi criticare quella legge, colto da senso di colpa. Come spesso gli accade, Calderoli prima fa il danno (e ne fa tanti), poi chiede scusa.

Si sa, il senso della misura e dell'autocoscienza non permea le profondità (?) dei nobili animi leghisti, ma la nostra sì, quindi per non farla troppo lunga la chiudiamo qui con l'elenco delle mirabilie calderoliane.
Rimane una conclusione finale: Calderoli e Kyenge, di fatto, si muovono in due direzioni, sulla via dell'evoluzione dell'umanità, totalmente opposte. Il ministro si batte alacremente per il Progresso, Calderoli al contrario è un campione morale del Regresso.

lunedì 1 luglio 2013

Adda venì Baffino

O per meglio dire: a volte ritornano.
Nel PD aveva perso la sua influenza, e perfino il suo delfino di un tempo, Bersani, lo aveva apparentemente rinnegato.
Matteo Renzi aveva ottenuto come suo primo risultato storico, nella partita a scacchi tutta interna al PD, la sua rottamazione (oltre a quella di Veltroni). La sua paventata elezione alla Presidenza della Repubblica, durante le notti dei lunghi coltelli nel PD, non era mai davvero decollata, se non sulla base di qualche dichiarazione a favore di esponenti del PDL.
Eppure, ce lo ritroviamo nuovamente in prima pagina, a dire la sua con quell'inconfondibile, insostenibile sicumera.
Massimo D'Alema, Baffino, è di nuovo tra noi. Appare e scompare nei momenti topici come un cavaliere vendicatore, pronto ad infilzare questo o quell'avversario politico nei momenti decisivi della battaglia.
La cosa più controversa, per chi lo segue con attenzione, è che i suoi più acerrimi nemici sono sempre stati tutti nel suo partito: Veltroni in primis, eppoi Prodi, Renzi e chiunque rappresentasse in un determinato momento storico il cambiamento.
D'Alema, il Grande Conservatore, ha coltivato le sue inimicizie interne rimanendo sempre attentissimo a non torcere un capello a quelle esterne al partito: da lui nessuno dei "nemici pubblici" del centro-sinistra ha mai ottenuto ostacoli. A cominciare da Berlusconi, il più vezzeggiato dei "Non-Nemici" dell'ex segretario dei DS.
Il suo agire politico e diplomatico ha storicamente prodotto come unico risultato quello del mantenimento dello status-quo. Nei fatti la sua battaglia è stata sempre una battaglia di reazione, contro le istanze autenticamente riformatrici, liberali o socialdemocratiche che fossero. L'uomo a cui gran parte del popolo di sinistra ha sempre riconosciuto una fantomatica "grande intelligenza" superiore a quella di tutti gli altri protagonisti, ha operato nell'ombra per arginare il successo di coloro che di volta in volta potevano rappresentare una svolta vera per il PD e per l'Italia: lo ha fatto con Walter Veltroni, l' "americano", colui che ha permesso al PD di ottenere, senza alleanze confusionarie, il miglior risultato della sua storia, e adesso, nonostante gli incontri di facciata, sta nuovamente applicandosi a bloccare l'ascesa dell'unica vera novità del panorama italiano, ovvero il progetto riformista Liberal-Democratico di Matteo Renzi con la sua voglia di ribaltone generazionale.

Tuttavia, c'è un'altra grande passione di D'Alema che va sottolineata: quella della sconfitta. Un piacere ed un' inclinazione alla debacle, all'errore, al misunderstanding politico tanto puntuale quanto misteriosa: sì, perché questo non azzeccarne mai una, il non riuscire mai a stare dalla parte giusta al momento giusto, e nonostante questo mantenere il suo status di oracolo della sinistra, è davvero qualcosa di inesplicabile.

Il PD è un partito composto di molte anime, è risaputo. E poi c'è una parte del PD che di anima ne è totalmente priva, chissà, forse perché l'ha faustianamente venduta al diavolo (che in Italia ha un nome e un cognome).
Ecco: finché il partito non si sarà liberato da questi "disanimati" (che siano 101 o di più) non sarà in grado di affrontare le esigenze di cambiamento che larga parte dell'opinione pubblica sta chiedendo in ogni forma: dal voto di protesta all'astensionismo.